Mamma ti ricordi quando ero
piccoletto, che mi ci voleva la scaletta andando a letto, come son cresciuto
mamma mia devi vedere…figurati che faccio il corazziere!
Così cantava
Renato Rascel nel lontano 1953.
I Corazzieri sono l’unità più antica delle Forze Armate Italiane e fanno parte di un corpo specializzato dell’Arma dei Carabinieri che svolge l’alta funzione di guardia d’onore e la scorta del Presidente della Repubblica.
I Corazzieri sono l’unità più antica delle Forze Armate Italiane e fanno parte di un corpo specializzato dell’Arma dei Carabinieri che svolge l’alta funzione di guardia d’onore e la scorta del Presidente della Repubblica.
Le uniformi sono
affascinanti. In occasioni particolari come i servizi di Guardia, i Corazzieri indossano
uniformi che prevedono l’elmo con la criniera di cavallo e il sottogola. Nonostante
le aspirazioni del piccoletto Renatino Rascel, sono richiesti anche determinati
requisiti fisici: devono possedere un’ottima resistenza fisica per sopportare
il peso della divisa (corazza compresa) per molte ore e, proprio per questo, seguono
un duro addestramento che prevede esercitazioni nelle tecniche di arti marziali
e della difesa personale, ma devono essere anche degli ottimi tiratori scelti. Devono
essere in grado di gestire con grande abilità e prontezza situazioni che
prevedono un gran flusso di gente e, dal punto di vista prettamente fisico,
devono essere alti non meno di 1,90 cm e devono saper cavalcare e saper guidare
le possenti Moto Guzzi California.
Devono
inoltre possedere un’indiscussa moralità e i loro trascorsi lavorativi devono
essere eccellenti.
I Corazzieri,
tuttavia, anche se dotati, preparati e straordinari, non sono comunque dei
superuomini
o semidei, sono esseri
umani e sotto quelle pesanti divise, soffrono e sudano in silenzio.
Sono come quello
che Gabriele Romagnoli definisce “il
milite ignoto, il corazziere sudato”. Quello che, impietosamente, le
telecamere inquadrano spesso durante le consultazioni al Quirinale, mentre
gocciola sotto il peso dell’elmo di Scipio.
In quella
sala affollata dove manca l’aria, dove, per necessità di riprese TV, si
accendono le potenti luci che inquadrano la porta e il leggio, i suoi turni
diventano estenuanti, sotto la corazza di quattordici chili in acciaio, in
attesa che i politici di turno escano, con i foglietti in mano, dove hanno scritto
frasi contorte e di routine, da leggere alla nazione annoiata e stanca.
E lui, il milite
ignoto, sta lì a far la guardia a una stupida porta.
E continua
sudare, immobile.
Sta faticando.
Sta soffrendo in compunto silenzio. Lo angosciano lo spettacolo sgangherato e
il protagonismo degli attori variamente disperati, come aggiunge Romagnoli.
E’
impassibile come il suo presidente, con cui condivide una inconfessabile
speranza: che tutto questo finisca, per poi, già lo sa, ricominciare.
Ma a che
serve questo inutile tormento, questa pena e questo inutile patimento?
A salvare
formalmente la faccia offesa delle istituzioni, dei riti assurdi e tribali che
democrazia pretende?
Forse è la
metafora di un popolo disgustato che suda in silenzio, magari sul materassino
dei sogni che, al mare, ti porta lontano.
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