giovedì 6 giugno 2019

STALLO & ODIO


Si amano, si odiano, si sopportano, si punzecchiano, si accusano, si fanno la guerra, ogni giorno, poi fanno la pace. Come due amanti litigiosi e innaturali forzati dagli eventi, che stanno insieme per calcolo e necessità. 
Come due separati in casa che fanno pippa e tirano a campare per non perdere il bene comune, l’onore, il prestigio, le conquiste, i reciproci vantaggi e i troppi privilegi. E nessuno molla l’osso quotidiano del potere che, dopo il voto europeo, ha ribaltato e completamente capovolto la consistenza delle parti, i rapporti di forza politica e il peso specifico di ciascuno.

Ma, volendo dar credito al Dago-pensiero, esisterebbe un piano segreto di Matteo Salvini per evitare la finanziaria lacrime e sangue: porterebbe all'esasperazione i Cinquestelle, con una provocazione lenta e continua, stando bene attento, però, a evitare la rottura. Fino a luglio, fino a quando un voto anticipato a settembre non sarà più possibile. A quel punto un ineluttabile governo tecnico farà felice la tecnocrazia europea e incazzare parecchio gli italiani.
Col voto politico rimandato a marzo 2020, l’abile stratega confida di fare il pieno dei voti contro l'Europa.
Quindi, temporeggiare, aspettare, pazientare.
Ha ceduto sul caso Siri, si è mostrato remissivo su Rixi e ha accettato che venissero inglobate solo 3 proposte su 5 della Lega nel decreto “sblocca-cantieri”. Il summit chiarificatore con Di Maio - sempre più vittima sacrificale - è stato rimandato a lunedì, dopo i ballottaggi: meglio arrivare all’incontro con qualche sindaco in più nella bacheca elettorale.
Nel frattempo, il ministro dell’Interno imbastisce la complessa tattica di logoramento verso i Cinquestelle, che si basa su tre presupposti:
-  capitalizzare presto il consenso che gonfia le vele della Lega;
-  il governo, così com’è, non soddisfa più per composizione ed efficacia;
-  la responsabilità della rottura deve essere del M5S.

Il vice premier non vuole pagare lo scotto (di consensi) di staccare la spina al governo per poi ritrovarsi - magari a Palazzo Chigi e con una nuova maggioranza - a varare una manovra economica lacrime e sangue. Ecco perché vuole esasperare i grillini, fino a spingerli a far saltare il tavolo.
A quel punto, Salvini potrebbe indossare l’abito buono del “responsabile” chiedendo a Mattarella di non trascinare subito il Paese al voto. Il “no” alle urne permetterebbe al Colle di imbastire il suddetto governo tecnico - di quelli tanto cari a Bruxelles e alle cancellerie europee - che dovrà confezionare una manovra-supposta per gli italiani. 

Intanto, conta i giorni: deve scavallare giugno e arrivare a metà luglio quando l’ipotesi di elezioni anticipate sarà definitivamente scongiurata vista la necessità di iniziare subito i lavori preparatori per la manovra 2019.

Il piano leghista prevede di lasciare che gli elettori assaggino l’amara purga di un altro esecutivo “alla Monti”, per poter affermare: “Avete visto cosa succede a impedire alla Lega di governare?” 
Solo dopo che la cinghia sui conti pubblici sarà diventata un cappio, Salvini potrà chiedere di andare al voto, a marzo 2020, e stravincere facilmente.


In tutta questa strategia sarà appoggiato e supportato da quella TV generalista che si chiama Raiuno, espugnata a colpi di epurazioni, promozioni di fedelissimi e occupazione militare delle postazioni-chiave, ma che in realtà è TeleSalvini. E, da domani, con la presentazione del palinsesto estivo, prenderà ufficialmente il via.
Ai sovranisti programmi pop e nuovi palinsesti di propaganda. L'obiettivo è trasformare i contenitori a metà tra informazione e intrattenimento, come "Unomattina" (affidato al devotissimo Poletti, ex direttore di Radio Padania e biografo di Salvini) e "La vita in diretta", in potenti megafoni della Lega e del linguaggio secondo Matteo. 

Dove non contano i fatti e neppure i numeri, ma la retorica ridondante e ripetitiva, fino all’ossessione: gli amici, i nemici, i nostri figli, i valori, la patria, le tradizioni, la difesa dei confini, i porti chiusi e lo stop all’immigrazione, usando sempre le stesse formulazioni e gli stessi toni caldi e severi, “da ministro, da papà, da italiano”, con una coerenza estenuante.   
Pochi concetti chiave che fanno presa e consenso, slogan incisivi, esaltanti e penetranti, grondanti di demagogia e populismo, uniti a schemi semplici, da rimandare a memoria. 
Tutto è stato studiato attentamente. Sarà difficile “desalvinizzarci!”  
(Alfredo Laurano)

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