Una sfumata,
delicatissima metafora arriva con la straordinaria immagine di una piazza San
Giovanni ormai vuota, dopo i funerali di Berlinguer, dove le copie dell’Unità
volano sull’erba, quasi danzando, sulle struggenti note del pianoforte di
Danilo Rea.
È la sequenza
d’apertura del film di Walter Veltroni, del 2014.
Trentacinque anni fa,
l’11 giugno 1984, quando ci lasciava Enrico Berlinguer, leader amatissimo e
stimato anche dagli avversari, qualcosa si rompeva nei cuori di milioni di
italiani. E lasciava un profondo vuoto.
Come disse Natalia
Ginzburg: “Ognuno ha avuto con Berlinguer un suo rapporto personale, anche se
l’ha visto una volta sola nella vita”.
Ai suoi funerali,
quel 13 giugno, a Roma, partecipò oltre un milione di persone, in corteo dietro
la bara, assiepate lungo il percorso, pigiate in piazza San Giovanni, dove
arrivò anche Michail Gorbaciov.
Io piangevo, col mio
amico Tucci, arrampicato a un palo.
Ma c’erano tutti: i
suoi compagni, i suoi avversari, i più grandi capi di Stato e di governo.
Tutti a rendergli omaggio.
Tutti a rendergli omaggio.
Fu il più grande funerale del Novecento, superato nel 2005
solo da quello di Papa Giovanni Paolo II.
Un giorno assai
triste in quella piazza straripante di amore e malinconia, trasformata in un
oceano di lacrime e bandiere rosse, di gente commossa e disperata, unita come
non mai in un dolore comune e lancinante: l’addio a un uomo semplice, timido,
riservato, ma serio, onesto, coraggioso e carismatico, i cui sogni e le cui
capacità hanno segnato un’epoca, anche se in tanti hanno provato a disinnescare
la sua forza morale e il suo testamento politico.
Di lui, Enzo Biagi disse semplicemente: “Sentivi che credeva a quello che diceva”.
Di lui, Enzo Biagi disse semplicemente: “Sentivi che credeva a quello che diceva”.
Ma con lui moriva di
fatto, anche il Pci, che di lì a poco avrebbe dovuto fare i conti con il crollo
di quei regimi autoritari, che proprio Berlinguer aveva cercato di distinguere
dalla via dei comunisti italiani.
Da quel momento,
quella politica della passione non c’è più.
Finisce il rigore,
l’onestà e l'etica.
Le ideologie
praticamente scompaiono e lasciano il posto alla retorica del nuovo, alle
volgari gesta di faccendieri e politicanti senza scrupoli, alle recite di
statisti improvvisati assetati di potere.
Tuttavia il mito di Berlinguer ogni anno diventa più potente, contro l’immagine di una Sinistra esanime, sbandata e sempre più sbiadita, rappresentata da dirigenti immemori, incapaci e forse indegni di raccogliere la sua eredità.
Tuttavia il mito di Berlinguer ogni anno diventa più potente, contro l’immagine di una Sinistra esanime, sbandata e sempre più sbiadita, rappresentata da dirigenti immemori, incapaci e forse indegni di raccogliere la sua eredità.
13 giugno 2019 (Alfredo
Laurano)
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