Aveva
trasformato un piccolo paese della Locride di meno di duemila anime,
dimenticato da Dio e dagli uomini, dove regnavano ndrangheta e soprusi, in un
modello di accoglienza conosciuto e studiato in tutto il mondo: stampa, cinema
e TV se ne sono occupati a lungo.
Aveva
cambiato il concetto di integrazione ed ospitalità in una risorsa, per tutti, in
occasione di rinascita. Era
riuscito a combattere la povertà, la disoccupazione e lo spopolamento grazie ai
migranti, quelle persone dalla “pelle nera”, spesso irrise ed osteggiate dalla
nostra società, che sono diventate, col tempo, fonte di ricchezza per i cittadini
di Riace.
In
quella realtà dominava la rassegnazione. Poi, improvvisamente, il paese si è rianimato,
la piazza è tornata a popolarsi, a vivere, a regalare “rumori e sorrisi": tante
le coppie miste, la felicità dello stare insieme, le botteghe multietniche, i
negozietti caratteristici: sembra quasi un mondo incantato, un’utopia reale, molto
diversa da quello che purtroppo si osserva anche a pochi chilometri di
distanza.
Riace,
già casualmente nota solo per i suoi bronzi (ritrovati nel 1972 nel suo mare,
ma subito “alloggiati” nel Museo Nazionale di Reggio Calabria) è diventata una
comunità solidale, in un territorio martoriato dalla criminalità organizzata.
Mimmo
Lucano, il sindaco di quel paese, artefice di quel miracolo sociale, tuttavia è
stato arrestato, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Arrestato
perché avrebbe fatto sposare migranti con italiani, rilasciato carte di
identità e altri presunti, ridicoli reati, che dimostrano ancora una volta
quanto tenesse ad aiutare povera gente in difficoltà e a far rinascere un borgo,
ormai spopolato e abbandonato.
Quella
di Riace sembra una favola dove i buoni e i giusti vengono puniti e
perseguitati dai malvagi, una storia che si racconta sotto un intenso profilo
morale, uscita da una sceneggiatura cinematografica o segnata dal peggior coup
de
théâtre, di salviniano tenore.
Il mondo lo ammira, l'Italia
lo arresta per reato di umanità o di utopia.
(Alfredo
Laurano)
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