L’unica differenza con quello che veniva decretato
nell’epoca fascista è che Mimmo Lucano, già sindaco di Riace, ha potuto
scegliersi la sede del suo “confino”. Come non accadeva con i socialisti, gli
anarchici, gli antifascisti e tutti i dissidenti che, d’imperio, il regime
mandava in vacanza in qualche isola, tipo Ponza, Ustica o Ventotene, o tipo
landa sperduta, come Eboli o Pisticci.
Revocati i domiciliari, gli è stato infatti
imposto il divieto di dimora: non potrà indossare la fascia tricolore e
continuare a lottare per il suo progetto di integrazione che tutto il mondo
studia e un po’ ci invidia.
Gli è stato detto di andar via e lui l’ha
fatto, alle 4 del mattino. All’alba come fanno i latitanti, i mafiosi, i boss
più importanti.
La sua massima colpa è avere e aver avuto in
testa un’illusione: cambiare il mondo sotto il profilo dell’integrazione e
della solidarietà, partendo da quel piccolissimo borgo, noto al resto
dell’umanità, per quei due guerrieri di bronzo strappati al mare, qualche tempo
fa.
Riace, il suo sindaco e il suo modello di
accoglienza, sono ritenuti da molti il regno del malaffare, come un’appendice
di Cosa Nostra e, nello stesso momento, paradiso in terra per i migranti. Anche
se un Gip (giudice per le indagini preliminari), a differenza del Pm, ritiene
che buona parte delle accuse rivolte a Lucano e alla sua “banda degli onesti” siano
campate in aria.
il punto centrale della questione sembra
comunque essere: distruggere il modello, piegare il suo principale motore,
sottrargli forze, tenacia e consensi, costringerlo in ginocchio, sconfiggerlo
definitivamente.
E allora lo liberano, ma lo mandano via. Non
deve più stare nella sua casa e nella sua cittadina, frequentare vicoli e
piazze, parlare con la gente, fermarsi al bar a scambiare due chiacchiere con i
calabresi nati qui e con i nuovi calabresi nati dall’altra parte del
Mediterraneo
Mimmo il clandestino deve sparire.
La Magistratura, ricordiamolo, è però indipendente
è quindi sono solo coincidenze, certamente non volute dal potere politico e
indirizzate dai governi. E noi tutti ci crediamo.
Anche se le perplessità si stanno
trasformando in certezze. Sempre più questo caso di cronaca giudiziaria si fa
politico, soprattutto perché rischia di diventare un ostacolo insormontabile al
progetto leghista di distruggere i flussi migratori.
Il sindaco esiliato ha sfidato la legge a fin
di bene, anche se l’impianto accusatorio è ancora tutto da verificare, in un
momento in cui, la legalità è altresì oltraggiata da misure legislative e
amministrative vessatorie e discriminanti, come, ad esempio, nel caso Lodi.
Alberto
Melis ci sottopone questa riflessione: “se
aiuto un ambulante acquistando la sua merce, io so benissimo che infrango una
norma, ma di fronte al fatto che quell’ambulante è magari un immigrato etiope
le cui rimesse sottraggono letteralmente la propria famiglia alla malattia e
alla fame, il mio infrangere la legge mi aiuta ad essere nel giusto, facendo la
mia piccola parte, disposto anche a pagarne le conseguenze, se occorre.”
Per tutto questo, non c’era motivo di
trattare Lucano come un mafioso e mandarlo al confino.
(Alfredo Laurano)
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