Tra poche
settimane, avrà inizio il processo a carico di Lucio Marzo, accusato dell’omicidio
di un anno fa della sedicenne Noemi Durini, di Specchia (Lecce), aggravato
dalla premeditazione, per aver agito con crudeltà per motivi abietti e futili e
di aver poi occultato il cadavere, scoperto solo dopo 10 giorni sotto un cumulo
di pietre.
La vittima era
ancora viva quando fu seppellita sotto quelle pietre, come ha stabilito la
perizia voluta dalla Procura per i Minorenni di Lecce per accertare la causa
del decesso e come ha ammesso lo stesso fidanzato assassino 17enne, in un
passaggio della perizia stessa, tesa ad accertare le sue capacità di intendere
e di volere: aveva confessato poche ore dopo essere stato iscritto nel registro
degli indagati per omicidio volontario.
Noemi, ritrovata
priva di vita nelle campagne di Castrignano del Capo dieci giorni dopo, aveva
il cranio sfondato, il volto irriconoscibile e ferite su varie parti del corpo
prodotte, verosimilmente, da coltellate e anche da animali selvatici.
''L'ho
ammazzata perché premeva per mettere in atto l'uccisione di tutta la mia
famiglia", avrebbe detto agli inquirenti il fidanzato Lucio, che poi ha
cambiato versione dei fatti incolpando anche il meccanico 48enne di Patù,
Fausto Nicolì.
Non sarebbe
stato, dunque, un omicidio d'impeto, come sostenuto dal ragazzo dalla testa
rasata, con elegante cresta al centro, ma un atto pianificato e studiato. Nell'ultimo
interrogatorio ha detto di averla uccisa con un coltello che la stessa Noemi
aveva portato con sé quando uscì di casa a notte fonda per incontrarsi con lui.
Il piano diabolico, secondo il suo racconto, sarebbe stato quello di sterminare
la sua famiglia, che ostacolava il loro rapporto.
Il padre di
Noemi, che aveva accusato anche il padre del fidanzato, sostenendo che avrebbe avuto
un ruolo fondamentale nell'omicidio della figlia, è stato di recente ospite in
collegamento de La Vita In Diretta su Raiuno.
Con lucidità e
con grande dignità ha raccontato tutto il suo dolore, la rabbia, la sofferenza
che si rinnova ogni giorno per la perdita della giovane figlia, brutalmente
ammazzata, senza una ragione. Nelle sue parole e nella sua voce, tanta controllata
disperazione, tanta attesa di giustizia, nessuna rassegnazione.
Alla solita domanda
scema, molto più che retorica, rivolta dal limitato conduttore Tiberio Timperi,
ripescato per demerito negli archivi della Rai, a quell’uomo così provato e
dopo il tanto strazio manifestato - “Se
le dico la parola perdono, lei che mi risponde?” - mi permetto di farlo io,
glissando sulla fin troppo pacata reazione di quel padre: ti rispondo che sei
un emerito cretino e faresti meglio a cambiar mestiere.
“Perdono,
perdono, perdono... il male l'ho fatto più a me!”
Il dolore
merita rispetto, non insensata provocazione dialettica, apostolica romana o
infiocchettamenti di banalità, ammantate di barocchismo buonista alla vaccinara.
(Alfredo Laurano)
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