La
cavalcata rumorosa e allucinante di LORO 1 raccontava la giostra volgare e famelica
dell’Italia berlusconiana, dei faccendieri, degli affaristi, delle mignotte e dei
magnaccia; di quelli che lo adulavano, che speravano di ricavare un minuscolo
pezzetto di potere, di entrare nel suo regno e nelle sue grazie, sostenuti nell’impresa
da un background di sesso, cocaina ed esibizionismo; quelli che, per soldi, per
prestigio e privilegi, ne hanno creato indirettamente il mito, supplicandolo, lusingandolo,
offrendo servizi e merce umana fresca e pronta ad ogni sacrificio.
Con
LORO 2, finisce la farsa
e il frastuono, niente più caos e ritmi forsennati, soprese, smargiasserie e megalomanie.
Dopo
una stravagante depilazione pubica, a bordo piscina, della compagna di
Morra-Scamarcio, entriamo nel cuore del privato, nella quiete quotidiana dell'eremo
sardo, dove il Re Sole, in pausa di governo, attende l'occasione per tornare
sulla scena, studiando strategie propizie con i fidati Doris e Confalonieri: “semplice, basta convincere sei senatori a
passare dalla tua parte!”.
E
Lui, per verificare le sue doti di abilissimo persuasore e la capacità di
“vendere ancora sogni”, si esibisce in una paradossale telefonata a una
sconosciuta, per convincerla a comprare una casa che non le serve affatto.
Per
il resto, c’è la bella Veronica, c’è la sua vita, “un’intera messinscena”, da cui lei stessa ha deciso di tirarsi
fuori. C’è la crisi e la nostalgia, il fallimento di un matrimonio e di un
amore assai rimpianto, su uno sfondo di eloquenti silenzi e “malafemmina”, di farfalline
d’oro in regalo a tutte le invitate, di qualche vago cenno di misurato e casto Bunga-bunga
e l’attrazione del vulcano casareccio che consola.
Nell’affresco
di Sorrentino, a dispetto delle attese, non si dipinge il potere e il politico
brillante, il satiro spregiudicato e gaudente che si destreggia fra processi e
magistrati, fra nipotine egiziane e minorenni - salvo Noemi che compie diciott’anni
e merita gli auguri personali - fra barzellette,
promesse, scandali sessuali, bugie e leggi ad personam.
Non
si racconta il berlusconismo insano e cafonal, come nella prima parte, ma l’uomo
Silvio reale, molto diverso dall’immaginario e da quello percepito, ritratto
nella sua umanità, nei suoi turbamenti e nella malinconica solitudine di uomo carismatico,
ma triste. Niente a che vedere con il criminale farabutto, descritto nel
Caimano di Moretti.
Tutto
è intriso da una sorte di compassionevole ironia.
Le
atmosfere e toni, ora, si son fatti tenui e smorzati, quasi crepuscolari.
L’orizzonte
è vuoto, anche se assediato dal popolo delle “olgettine”, che i mille Tarantini
fanno a gara per portare nell’harem dell’immaginifico sultano, despota fragile
e decadente, sulla via della vecchiaia e del declino.
“Qui è tutto patetico”, afferma, con
ingenua freschezza, Stella, una ragazzina che non cede alle lusinghe del
Berlusconi seduttore. “Sono patetiche le
feste organizzate da anziani che cercano di sentirsi ancora giovani, che hanno
l’alito come quello di mio nonno, né
troppo profumato, né troppo maleodorante. Semplicemente “un alito da vecchio”, aggiunge
ancora, mentre si allontana col suo trolley.
Ma
Silvio, che non si offende mai, perché "conosce
il copione della vita”, dice a se stesso, con disincanto: "Abbiamo lo stesso alito perchè forse
usiamo lo stesso adesivo per dentiere".
Nel
finale di un film surreale, metaforico e più che felliniano, si frantumano sogni,
illusioni, speranze e dentiere omaggio, a cui gli italiani - vittime di
un’allucinazione collettiva che ancor non ci abbandona - hanno creduto,
identificandosi con l’uomo che li aveva evocati. Crollati e ridotti a cumuli di
macerie, simboliche e reali, come le case del terremoto dell’Aquila, dalle
quali emerge il volto marmoreo di un Cristo sofferente, recuperato da una gru.
(Alfredo Laurano)
Nessun commento:
Posta un commento