Molti dicono, molti pensano, molti
scrivono: “a pochi passi dall’impresa!”
Per me non è così.
Come avevo già scritto, i miracoli
calcistici non si ripetono a comando o a invocazione e, comunque, lasciamoli a
chi ci crede e a san Gennaro.
La premessa era chiara e vincolante: per
rimontare tre gol, senza subirne alcuno, in una semifinale eliminatoria di
Champions League, devi essere praticamente attento e perfetto e non è neanche
detto che basti. Non puoi sbagliare niente: un contrasto, un tiro, un
passaggio, un cross, un fallo laterale.
E la Roma non l’ha fatto.
Si è suicidata
regalando, in troppe fasi della gara, giocate inadeguate e altalenanti, come ha
fatto in tutta la stagione: esaltanti in certi momenti, deprimenti in altri.
Ha compromesso la sua rivincita e sporcato
la sua prestazione dopo appena nove minuti, con quel passaggio di Nainggolan,
sciagurato e incomprensibile, e dopo venticinque minuti era sotto per due a
uno. Prendere quei due gol dal Liverpool ha significato vanificare, quasi
subito, le speranze di vincere col risultato giusto.
Un errore gratuito, e non certamente
l’unico - troppe distrazioni, troppe concessioni, troppe irritanti leggerezze
che il Liverpool non ha trasformato in altri gol per pietà, imprecisione e
pudicizia - di una partita pur volenterosa e combattuta, nonostante Schick, ma non
sufficiente a rendere probabile un’impresa ardua e memorabile, statisticamente
quasi irrealizzabile. I due gol segnati nel finale (all’86° e
al 93°, a conclusione del recupero) sono stati praticamente inutili, se non a
premiare impegno, sacrificio e pubblico pagante. Fossero arrivati prima…forse,
racconteremmo un’altra storia.
Pali, occasioni mancate, rigori non visti e arbitraggio a
parte - che avrebbero potuto indirizzare la gara diversamente (ma non lo
sappiamo e non c’è la contro prova) - confermano che si poteva anche vincere (come è stato),
ma non conquistare una finale, abbondantemente persa già in Inghilterra. Anche
perché i Reds non erano venuti a Roma per visitare il Colosseo, ma per lanciare
frecce in contropiede - loro arma preferita - contro una squadra preoccupata, impaurita,
facile all’errore, anche nei suoi giocatori più esperti, e pronta a scoprirsi
con disinvoltura il petto, come un protomartire cristiano.
Questa Champions, in ogni caso, lascia
alla Roma e, soprattutto ai suoi tifosi più credenti, molti rimpianti e tanta
delusione, ma anche un certo spessore europeo e una diversa mentalità, su cui
costruire un futuro di speranza, da ogni punto di vista.
Ma anche tanti soldi per sistemare un
bilancio, migliore del previsto, (l’incasso di questa sola partita è stato di oltre cinque milioni e mezzo di euro), che potrebbe agevolare la prossima campagna
acquisti, evitando ai padroni americani di svendere i più pregiati pezzi sul mercato, come hanno
fatto ignobilmente con Salah.
Una Roma, con poca esperienza
internazionale, che esce battuta a pochi passi dal sogno, ma con orgoglio e con
una certa convinzione, visto che dopo il sorteggio dei gironi, nessuno ci credeva, quasi
tutti l'avevano data per eliminata subito.
Si chiude invece qui un’entusiasmente avventura, che
ha visto il cuore giallorosso battersi e superare grandissimi avversari: dal
Chelsea all’Atletico Madrid, dal Barcellona allo stesso finalista Liverpool.
E
non è poco: chissà se e quando ricapiterà.
3 maggio 2018 (Alfredo Laurano)
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