Da
“Roma in Scena”, dell’aprile scorso, a Roma Svelata, ieri sera, al Teatro Porta
Portese, sempre disegnata da Susy Sergiacomo, regista, suadente affabulatrice e
guida affascinante. Almeno quanto l’istrionico cicerone, interpretato da Giulio
Marotta, che illustra i sette colli, più “er
Pincio che gli avanza”, alla curiosa turista Stefania Fusco, disinvolta e
pittoresca, rapita da tanta bellezza “ciusta”.
E’
l’occasione per riscoprire una città assai diversa da quella, oggi, devastata
dal degrado, dal traffico, dalle buche, dagli abusi e dalla monnezza. Per
“svelare” una Roma magica e verace che deve ritrovarsi, che ha bisogno di
rifarsi il manto, di rinascere nel suo spirito più autentico e nelle sue
tradizioni.
E
ci riesce con successo e assoluta naturalezza, coinvolgendo pubblico e artisti
stessi.
Stavolta
non c’è Belli, non c’è Pascarella, non c’è Petrolini. Ma ci sono la verve di
Fiorenzo Fiorentini, la curiosità di Pirandello, lo stupore di D’Annunzio e
Pasolini, il sarcasmo di Flaiano: tutti sedotti e affascinati da quella Roma
unica, sorniona e struggente, scanzonata e irriverente, commossa e divertente.
Dal
riso al pianto, dalla comicità alla tragedia, dalle scene più surreali
all’assaggio di café-chantant, attraverso letture sceniche, monologhi, sketch
esilaranti, dialoghi e confronti, scanditi dalle suggestive musiche di
Respighi, Ferri, Venditti e voci fuori campo.
Dallo
spassoso “secchio bucato” (con gli irresistibili Luisa Cannizzo e Massimo
Borghese, nei panni di “Gertrude-Gertrù e Arturo-Artù) al “bombardamento di San
Lorenzo” (un’intensa e partecipata Simona Lattes, piange la piccola Marisella,
con un solo sandaletto rosa), dai “Tre bulli” (i due già citati attori maschi,
più il sempre superbo Andrea Scaramuzza) alla “gallina Adalgisa” (con Ornella
Petrucci, molto credibile e fantastica quanto basta), dai “due suicidi” al “marziano
a Roma”, a “Er fattaccio der vicolo der Moro: “Sor delegato mio nun so un boiaccia. Fateme scioje, v’aricconto
tutto...e poi mannateme ar Coeli”.
E,
in effetti, se non proprio tutto, ci hanno raccontato, molto o abbastanza.
Nei
capitoli di questo vivacissimo romanzo popolare, c’è il signore e c’è il
buzzurro, c’è il mito e la leggenda, il folclore e le chiacchiere di rione ma,
soprattutto, c’è la voce, la vita e la memoria di Roma, dei suoi sentimenti
spontanei, del suo cuore generoso, della sua proverbiale ironia che pareggia o
sovrasta il disincanto.
Tutto questo, tradotto in un bel pezzo di
teatro dialettale e spumeggiante, che fa ridere, ma anche riflettere, che, grazie
agli autori e agli interpreti generosi e convincenti, emoziona e non lascia
indifferenti.
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