Da quando, cinque mesi fa, Donald Trump
ha annunciato la scelta di trasferire l'ambasciata americana da Tel Aviv a
Gerusalemme, confermandone il riconoscimento come capitale d'Israele, la
tensione è aumentata sempre di più e i giorni della collera palestinese hanno
visto morire decine e decine di persone.
Benzina sul fuoco che cancella parole
come dialogo, compromesso, riconoscimento delle ragioni e dell'identità nazionale,
sempre più estranee al vocabolario politico mediorientale, e che lasciano il
posto ai sentimenti contrapposti di rabbia e dolore.
Nel giorno dell'"Intifada
dell'ambasciata", si spara a Gaza, mentre in una Gerusalemme blindata si
inaugura la nuova sede della discordia: "Che
giorno fantastico!”, twitta il premier israeliano Netanyahu, mentre il
numero di morti e feriti aumenta di ora in ora e scandisce il settantesimo
anniversario della fondazione dello Stato d'Israele: la "catastrofe"
per i palestinesi.
I soldati israeliani, tra proclami,
minacce e ultimatum, aprono il fuoco contro migliaia di palestinesi che
manifestano entro i confini di Gaza, che si avvicinano alla frontiera, lanciano
pietre in direzione dei soldati che rispondono sparando, non per esercitare il
diritto di difesa, ma praticando terrorismo di Stato. Un massacro a sangue
freddo, durante una protesta nella più grande prigione a cielo aperto.
58 morti, otto hanno meno di 16 anni, c'è
anche una donna e oltre 2.700 feriti, troppi per gli ospedali palestinesi. Tra
le vittime anche un bambino ucciso dai gas lacrimogeni.
“E'
stato un tiro al bersaglio commesso dalle forze di occupazione israeliane
contro il nostro popolo eroico",
ha detto il portavoce del governo palestinese, chiedendo un intervento
internazionale immediato per fermare il terribile massacro. Gli israeliani
hanno risposto che “chiunque si avvicini
alla barriera tra Gaza ed Israele viene considerato un terrorista".
Per Donald Trump, responsabile morale di
tutto questo, i morti di Gaza non sembrano esistere o vengono ridotti ad
"effetti collaterali", dolorosi, forse, ma che non intaccano la
giustezza delle scelte compiute.
Il trasferimento dell'ambasciata, reale avamposto
americano, costituisce, in ogni caso, un insulto alla pace e una dichiarazione
di guerra contro il popolo palestinese. (Alfredo Laurano)
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