Lui,
loro, ma anche e purtroppo noi, spettatori attoniti, schifati, nauseati e pur
paganti, in tutti i sensi, da quei “Loro”, scolpiti e immortalati nel film di
Sorrentino.
Ma
perché raccontare ancora Berlusconi che da un quarto di secolo è l'uomo più
raccontato d'Italia, dalla stampa, dalle TV, dai libri, dal Web, dalla cronaca,
da migliaia di interventi di ogni tipo, che - come dice qualche esasperato
critico, insieme a casalinghe stanche e uomini comuni - non basterebbe una
Treccani o un in file da cento giga a contenerli?
E perché farlo in un'epoca in
cui Crozza, tutti i giorni recita una parte di Lui e di quei Loro?
Non
ci basta, non ne siamo tutti stufi, annoiati e infastiditi?
“Sono interessato all'uomo che
sta dietro il politico”, risponde convinto Sorrentino.
In
effetti, di Silvio Berlusconi, è già stato detto e visto tutto e forse troppo,
anche perché siamo all’epilogo della sua epopea imprenditoriale e politica. Il
suo regno - l'état, c'est moi - è di
fatto tramontato, come quello assoluto di novello re Sole, intorno al quale
tutto girava, in ossequio al più idilliaco edonismo.
Ma
come dice Scamarcio, nei panni del procacciatore Tarantini: “Me l’hanno chiesto loro” -“Loro chi?” - “Loro,
quelli che contano”.
O
quelli che, aggiungerei, speravano di contare e di lucrare. E in molti ci son
riusciti in pieno.
Quelli
che Berlusconi, il suo mito e ciò che significava - potere, soldi, prestigio e
privilegi - lo anelavano, lo bramavano, se lo contendevano, se ne approfittavano,
nel culto totale della sua personalità.
Faccendieri
ambiziosi, imprenditori rampanti, vergini candide di nome e cortigiane più o
meno contorsioniste, politici sessuomani e corrotti, giullari, escort e papponi
vari, devoti e sottomessi: un circo che ruotava intorno al sole, al grande Lui
- venerato in una forma di pura idolatria sociale, più religiosa che politica -
in infinite orge, fiumi di denaro, droga, sesso ovunque e in tutti i modi, con
annesse specialità erotiche della casa.
Loro,
vittime, più o meno consapevoli di un potere che essi stessi hanno sostenuto e,
nello stesso tempo, anche subito. Loro, in parata tossica e ripugnante di forme
oscene e immagini allucinanti, di momenti surreali e scene irrelate di
esibizionismo e umiliazioni;
Fatti
veri o di fantasia si mescolano a personaggi fittizi o ispirati, come il
Ricucci di Ricky Memphis, il ministro simil-Bondi di Fabrizio Bentivoglio, l’“ape
regina” Sabina Began nella Kira di Kasia Smutniak e il fantomatico “dio”, che
nessuno ha mai visto (un nuovo Licio Gelli?), in una ridicola giostra che gira
su un vuoto cosmico e che ricorda una vera “Grande Bruttezza”.
Per
quasi un’ora di film, Silvio, il Lui pur evocato di continuo, non compare. L’attesa
ne accresce il ruolo e l’importanza.
E’
come un Berlusconi separato dal berlusconismo, come l’uomo distinto dalla sua
ideologica rappresentazione, che ha plasmato l’immaginario collettivo popolare e
condizionato il comportamento di un intero Paese, facendo leva sui suoi istinti
più bassi e primordiali.
Fra
atmosfere amorali e decadenti, fra suoni e musiche assordanti, al limite della
sopportazione, prende corpo e vita un vero puttanificio a cielo aperto, un suk fatto
di viziosi e madri che, tra una fiutata di coca e l’altra, scaldano nel forno i
sofficini ai figli, nel quale affiora e si rivela quella vivida corruzione che Lui
stesso ha creato e diffuso, modificando antropologicamente gli italiani, con i
suoi giornali, le sue TV, le sue donnine e nipotine.
Così,
dopo tanta droga e un via vai di zoccole, dopo varie allegorie un po’ scontate
e manieristiche di animali (dalla pecora iniziale al rinoceronte, dal
dromedario al ratto) e di rifiuti sparsi in aria da un camion Ama, precipitato
nei Fori Imperiali, appare finalmente sullo schermo la maschera di Toni
Servillo, con parrucchino incorporato fra il viso rugoso e plastico e l’attaccatura
innaturale dei capelli, quasi un simulacro deformato del potere.
Dalle
infinite sequenze di feste e piscine dove tutti scopano con tutti, si passa alla
quiete verdeggiante della sua villa Certosa in Sardegna.
E’
una lenta digressione familiare, opposta all’ossessività compulsiva precedente,
che finisce per restituirci paradossalmente un ritratto inedito e quasi umano
di Berlusconi, con le sue emozioni, la generosità, l’ironia, le paure e le
delusioni.
Un uomo che si ritrova ad affrontare la solitudine e il disprezzo di
una moglie depressa - una Veronica, interpretata da una magnifica Elena Sofia
Ricci - che legge Saramago, disgustata dalle vicende extraconiugali del marito
con escort e ragazzine. Un comune nonno che spiega al nipote, senza vergogna, che
la verità è solo la convinzione e il tono con cui si fa un’affermazione e come
ha fatto della menzogna il segno distintivo della sua vita.
Che parla del
Milan, della forza del denaro, del celebre vulcano della villa e della visita
di Putin, tra le sfide a suon di note fra Apicella e Fabio Concato, che
fece nascere l’antico amore per la bella moglie.
Ma
il bersaglio del regista resta sempre la denuncia della corruzione.
Come
l'assistente personale di Berlusconi ricorda al ministro in crisi: "ci
sono solo due categorie di persone incorruttibili: i ricchi, perché non ne
hanno bisogno, e i poveri, perché non hanno nulla da offrire". Le ragazze
giovani e belle, invece, qualcosa da offrire ce l'hanno sempre in un sistema in
cui la sessualità e l'esercizio del potere sono inscindibili.”
La
mercificazione del corpo femminile è un caposaldo dell'era e della filosofia
berlusconiana e Sorrentino lo sa bene.
In
questo film, Loro1, ne illustra il processo e il senso, mettendolo al centro di
quel sottobosco volgare e parallelo, costituito da una fauna repellente, che
cerca di lambire il mondo paradisiaco di Berlusconi, che tenta in tutti i modi
di entrare nella sua corte magica, promettendo tanta gnocca, assoluta fedeltà e
totale sudditanza, incurante del disastro etico, sociale, educativo che a sua
volta, a cascata, amplifica e produce.
Come
ci sorprenderà con Loro, atto secondo?
9
maggio 2018 (Alfredo Laurano)
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