Quel
matrimonio che non s’aveva da fare, forse, si farà.
Don Rodrigo d’Arcore ci ha
ripensato e dopo settanta giorni ha dato il suo consenso, o meglio l’astensione
critica, per senso di responsabilità e per il bene del Paese. Si è fatto da parte, con i suoi minacciosi Bravi, come voluto
e preteso da uno degli sposi - non dall’altro, il suo alleato, che Travaglio
definisce “il cazzaro verde” - annunciando che non si metterà di traverso a un
governo formato dal Movimento 5 Stelle e Lega: “se un'altra forza della coalizione di centrodestra ritiene di
assumersi quella responsabilità, prendiamo atto con rispetto della scelta.”
E lo ha fatto nel giorno in cui scadeva
l’ultimatum del Quirinale che, dopo l’ennesima consultazione delle parti, ha paventato,
per non dire minacciato, un altro governo tecnico-neutrale o nuove elezioni a
luglio, nelle cabine al mare e sulle spiagge.
E’
evidente che, oltre a precise garanzie, ottenute da Salvini, su materie per lui
importanti, come giustizia, fisco, telecomunicazioni e conflitto di interessi, si
è reso conto, o qualcuno lo ha informato, che - "alla faccia della
responsabilità e del supremo bene del Paese" - in caso di voto balneare,
avrebbe perso un altro bel pacco di consensi, fino alla possibile estinzione, a
favore della sfrecciante Lega. Come sarebbe accaduto o accadrebbe anche per il
PD.
Scongiurato
l’incubo elettorale superanticipato, molti neo parlamentari hanno tirato un bel
sospiro di sollievo per non dover lasciare, appena entrati alle Camere, poltrone
e lauti stipendi e privilegi, consapevoli pure che parecchi di loro, nel caso,
non sarebbero stati ricandidati o rieletti.
Anche
per questo, nascerebbe o nascerà questo governo a sfondo populista e, forse,
sovranista, nonostante le raccomandazioni e i timori del mite presidente Mattarella.
Un
governo, definito Accordo da Di Maio, su temi precisi, “punti di convergenza
programmatici” - legge Fornero, flat tax, reddito di cittadinanza, migranti e norme
anticorruzione, un premier terzo e con gli sposi Giggino e Matteo ministri - che
avrebbe potuto avere anche un altro partner: un PD decimato, ma aperto al
dialogo, al confronto e non vendicativo, come molti della sua minoranza
chiedevano, se non fosse stato ancora ostaggio del finto dimissionario Renzi.
Luigi
Di Maio, deciso a cavalcare a tutti costi il consenso avuto, con un coniuge o con
l’altro - entrambi, comunque, poco amati - traducendolo in forzate nozze di
interesse e non certo di passione - farà bene a fornire rassicurazioni a una
base, che già solleva dubbi, perplessità e minacce di abbandono, e a ripartire
dai fondamentali che il suo Movimento considera irrinunciabili, come legalità e
intransigenza.
A
meno che non voglia farlo diventare un partito come tutti gli altri e apparire
agli occhi degli elettori come un navigatissimo politico disposto, per il
potere, a qualsiasi compromesso, a qualsiasi matrimonio, anche riparatore.
Sono
assai lontani i tempi (2013) in cui i pentastellati non parlavano con nessuno, non
si confrontavano, non si facevano neanche avvicinare, intervistare o invitare
nei salotti e talk televisivi, per paura di contaminarsi. E,
in diretta streaming, sbeffeggiavano il povero Bersani.
(Alfredo Laurano)
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