mercoledì 12 aprile 2017

ESECUZIONI

Un'amica, turbata come tanti dalla violenza che quotidianamente ci avvolge e ci ferisce, mi chiede come la penso sulla pena capitale. Ma, a mio avviso, non c'è una diretta relazione.
E’, di fatto, un omicidio premeditato da parte dello Stato. 
Da sempre, sono assolutamente contrario alla pena di morte, punizione crudele, disumana e degradante ormai superata, abolita nella legge o nella pratica da più di due terzi dei paesi nel mondo. Nel 2016, sono state messe a morte oltre mille persone, soprattutto in Cina, Iran, Arabia Saudita, Iran e Pakistan. 

Intanto va osservato che, secondo i dati di Amnesty International, 112 Paesi ancora torturano i loro cittadini, in almeno 80 si svolgono processi iniqui, in altri 50 le forze di sicurezza sono responsabili di uccisioni illegali in tempo di pace, 101 Paesi reprimono il diritto alla libertà di espressione e tantissimi prigionieri di coscienza sono in carcere. 
Però, è veramente singolare,155 Stati hanno votato per l’adozione di un Trattato sul commercio delle armi nell’ambito dell’Assemblea generale dell’Onu, ad aprile 2013. Solo tre paesi hanno votato contro. 

La sofferenza fisica causata dall’azione di uccidere un essere umano non può essere quantificata, né può esserlo la sofferenza mentale causata dalla previsione della morte che verrà per mano dello Stato. Sebbene le autorità dei paesi mantenitori continuino a cercare procedure sempre più efficaci per eseguire una condanna a morte, è chiaro che non potrà mai esistere un metodo umano per uccidere. 
Che avvenga per iniezione letale, impiccagione, fucilazione, sedia elettrica o asfissia per ipossia da azoto (al condannato viene messa una maschera e gli viene pompato azoto in alte concentrazioni al posto di ossigeno, il che lo renderà euforico. Poi segue una morte indolore) è sempre un atto di barbarie. 
La pena di morte cancella qualsiasi possibilità di riabilitazione. Qualunque sia il metodo scelto per uccidere il condannato, l’esecuzione nega ogni processo di recupero e respinge l’umanità della persona che ha commesso un crimine. 
Nelle mani di regimi autoritari, poi, la pena capitale è uno strumento di minaccia e repressione che riduce al silenzio gli oppositori politici. 

La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta anche ad innocenti.
Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione. Non c’è studio che dimostri che la pena di morte sia un deterrente più efficace di altre punizioni. 
La pena di morte non rispetta i valori di tutta l’umanità. I diritti umani sono universali, indivisibili e interdipendenti. 
Eseguendo una condanna a morte, lo Stato commette un crimine e dimostra la stessa crudeltà del criminale nell’uso della violenza fisica. 
Il vendicatore si mette sullo stesso piano di colui che vuole punire; chi fa giustizia, invece, si pone su un piano di superiorità morale, dunque non può macchiarsi della stessa colpa che sta punendo. 
In pratica, una vita viene presa per un’altra vita, in una forma di vendetta legalizzata. 
Un Paese civile non può fare l’Isis. 
11 aprile 2017 (Alfredo Laurano)

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