I numeri ormai non contano più, se non a
fini statistici 0 per stilare macabri bilanci: sono decine, centinaia, migliaia
i morti in questi ultimi anni sui barconi della disperazione, in fuga
dall’orrore, dalla miseria e dalle guerre per cercare una possibile, ma spesso
improbabile salvezza. Fa poca differenza ormai sapere che in quel singolo naufragio
sono affogati pochi, tanti o tantissimi o quante fossero le donne e i bambini, perché
la percezione del disastro prescinde dalle sue proporzioni. E’ solo cronaca, è
solo una notizia.
L’assuefazione dell’opinione pubblica alle
stragi quotidiane dei migranti è quanto mai evidente e sempre più palpabile.
Ogni giorno, Rete, giornali e Tv portano nelle nostre case notizie di annegamenti e barche rovesciate,
di corpi recuperati, dispersi o seppelliti nel grande mare della vergogna,
mentre mangiamo, beviamo e, distrattamente, commentiamo. Con grande pietà,
compassione e con una certa disinvoltura le digeriamo velocemente, come il cibo
che assumiamo, senza alcun reflusso etico-esofageo.
Il rullo mediatico macina quei morti
a pranzo e a cena, all’ora dell’aperitivo o della siesta, e l’abitudine,
cancellando lo stupore e la sorpresa, rende quasi normali e sopportabili
cose spaventose: l’orrore, la pena e il dolore sono sempre in onda e per
questo perdono di valore e di originalità.
Ma la regia occulta di questa epocale
tragedia a puntate quotidiane, spesso, troppo uguali e anche noiose, in questi
giorni ci ha regalato qualche diversivo.
Fermi il soggetto, la trama e il contesto
ambientale, storico e sociale, abbiamo scoperto che tanti disperati non sono
morti affogati nel “mar cimitero”, ma accatastati e sovrapposti come pacchi
nella minuscola stiva di un barcone sovraccarico e fatiscente, respirando i
veleni e i gas di scarico dei motori. In una bara multipla, appena
galleggiante, senza un grammo d’aria e
d’acqua e pressati, calpestati e minacciati dagli scafisti.
Ma non solo. Altri loro fratelli di tortura
- oltre settanta, con donne e quattro bambini - sono rimasti asfissiati nel
cassone sigillato e privo d’aria di un camion frigorifero, con il quale
speravano di passare le frontiere. Morti parcheggiati fra le lamiere
arroventate di un grosso mezzo abbandonato in Austria, lungo l’autostrada.
E per finire, la rotta dei Balcani. Altro
calvario, nuove tribolazioni.
Il Mediterraneo che dalle coste africane porta
in Italia attraverso il Canale di Sicilia non è più la tratta
più utilizzata per entrare in Europa. Oggi, la gran parte dei migranti che
cerca di arrivare nell’Unione Europea lo fa tentando di attraversare i Balcani.
Dall’inizio dell’anno, 160mila persone sono giunte in Grecia, partendo dalle coste della Turchia, la maggior parte con l'intenzione di con l’intenzione di proseguire verso nord.
Migliaia di profughi, soprattutto siriani,
iracheni e afgani, camminano a piedi per centinaia di chilometri, lungo un
binario o sentieri di campagna.
Attraversano l’Ungheria, la Serbia, la
Macedonia, evitando muri, eludendo controlli e fili spinati o trovando i
pestaggi della polizia; senz’acqua e senza cibo, con una borsa, uno zainetto o
un bambino in braccio: tutto il loro avere, la loro casa, la loro speranza di
sopravvivenza.
Si muore e si subisce violenza anche sulla
rotta dei Balcani, non solo durante le traversate nel Mediterraneo. Almeno 150
migranti hanno trovato la morte lungo questa pericolosa via: annegati nel
tentativo di attraversare il mar Egeo o rimasti uccisi lungo le ferrovie.
Nel corso del tormentato viaggio, subiscono
violenze ed estorsioni ad opera delle autorità e di bande criminali e vengono vergognosamente
abbandonati a se stessi dal sistema d’immigrazione e asilo dell’Unione Europea,
che li lascia intrappolati in Serbia e Macedonia, privi di protezione.
Sono oltre 61mila le persone fermate lungo
quei confini.
Lo denuncia Amnesty International in un nuovo rapporto a proposito
delle migliaia di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, bambini inclusi che
subiscono violazioni in Serbia, Macedonia e Ungheria.
Forse dovremmo indignarci, manifestare,
protestare, costringere l’Europa a intervenire e agevolare l’esodo umanamente,
visto che non si può ignorare, né fermare, né, come dice Francesco, far finta
di niente.
A meno che qualcuno non riesca, miracolosamente o per magia, a
rimuovere le cause che lo determinano: le guerre, la fame, lo sfruttamento, le
disuguaglianze, in tutto il mondo, in tutti i tempi.
Nell’attesa,
buon appetito a tutti.
30
agosto 2015 (Alfredo Laurano)
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