Non siamo a
Palermo o a Corleone, a Marcianise o a Casal di Principe, a Scampia o in
Aspromonte, ma nella capitale d’Italia. Di un’Italia non più definibile, non
più intercettabile, non più comprensibile. Un Paese sempre più ostaggio della
criminalità e della corruzione, a dispetto della sua storia e del suo immenso
patrimonio culturale che tutto il mondo ci invidia, al netto dello schifo e del
degrado.
A Roma, ieri, è
andato in onda, tra lo stupore generale e la vergogna di cittadini sbigottiti e
increduli, il funerale trionfale, in pompa magna, di Vittorio Casamonica, capo
clan dell’omonima dinastia. Sembrava un film, ma non lo era.
Una carrozza antica, intarsiata di
finimenti dorati, trainata da sei cavalli neri col pennacchio e le note de "Il
Padrino", suonate dalla banda, ad accompagnare il feretro in un lungo corteo.
In cielo, un elicottero, come fosse un aereo pubblicitario che lancia volantini
sulle spiagge, spargeva masse di petali di rose: così sono iniziati i funerali
del boss sessantacinquenne Vittorio Casamonica, che si sono svolti nella
chiesa di Don Bosco, tra una folla di commossi amici, parenti e devoti affiliati
e dipendenti.
All'esterno della chiesa, era
appeso un manifesto con la scritta "Re
di Roma", insieme a un fotomontaggio raffigurante il Colosseo la Basilica
di San Pietro e l'immagine dell'uomo vestito di bianco, come il papa, con un
crocifisso. Su un altro manifesto, invece, c'era scritto: "Hai conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso".
Un funerale all'insegna dello sfarzo, che
ha intasato le strade e congestionato il traffico, per ribadire, alla faccia
delle inconsistenti istituzioni - questura, prefettura e viminale - e sotto gli
occhi di un’intera città, l’arroganza e la protervia dei clan malavitosi,
padroni dello spaccio, del pizzo e dell’usura. Un rito di autolegittimazione,
per ribadire, ove ce ne fosse bisogno, il proprio strapotere. Mentre è ancora
vivo nella cittadinanza lo sdegno per mafia capitale di Buzzi e Carminati.
Non c’è nulla o molto di spirituale o
religioso in questa cerimonia da ultimo saluto, che rappresenta soprattutto una
prova di forza e di impunito esibizionismo dell’anti-stato che viene tollerato
e accettato come fosse normale da tutti, dallo stesso stato e dalla stessa chiesa.
Collusi e scontenti si uniscono al dolore per la scomparsa del padrino, pur
senza corona e senza camera ardente.
E pensare che, poco tempo fa, ci
indignavamo per le processioni che a Oppido Mamertina deviavano il percorso,
per omaggiare il condannato boss, con l’inchino della madonna e dei suoi mafiosi
portatori.
Grande imbarazzo in Curia e in
Prefettura, interrogazioni al solerte ministro Alfano. Fioccheranno le solite, sterili polemiche, le
accuse, le inutili inchieste, le responsabilità …da accertare. Ma, ancora una
volta, di fronte al mondo intero, facciamo la figura di pessimi buffoni, che
non fanno ridere, né piangere nessuno, ma sanno soltanto farsi screditare e
coglionare, anche dai bulletti di periferia.
Nessuno sapeva, nessuno vedeva, nessuno
sentiva.
Come le scimmiette dell’indifferenza. O dell’incapacità.
Come le scimmiette dell’indifferenza. O dell’incapacità.
21 agosto 2015 (Alfredo Laurano)
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