Sul Palio si sono scritte migliaia di pagine, una vera
enciclopedia, per raccontarlo, spiegarlo, capirlo, motivarlo, giustificarlo,
condannarlo.
A Siena non è un evento o una festa. Non è una fiera o
una manifestazione di folclore e tradizione: è linfa vitale che segue il ritmo
quotidiano della vita di contrada. La sua lunga attesa e, soprattutto, la
vigilia, per i senesi rappresenta la vita o la morte, il buio e la luce, il
nulla oltre la vittoria.
Chi non è senese, come il sottoscritto, deve sapere essenzialmente
due cose: non riuscirà mai a capire il Palio e non riuscirà mai a capire i
senesi.
Gente matta che, in questi giorni di mezzo agosto, si
prodiga per vincere un cencio di stoffa in un inseguimento spasmodico di
cavalli che corrono contromano - rispetto alle normali corse - dentro un luogo assurdo
dalle curve impervie nominato Piazza del Campo, in cui tutto faresti tranne che
farci correre dei cavalli, montati “a pelo”, cioè senza sella, da idolatrati
fantini. Roba da medioevo.
Il Palio si corre due volte - a luglio e ad agosto – ma, per
i senesi si vive tutto l’anno e rappresenta
l'essenza della vita stessa.
L’ho verificato di persona, visitando la città in un lontano
ottobre, in tempi ben lontani dall’evento: se ne parla sempre e dappertutto,
nei bar, nelle cantine, in strada, nei negozi, nei ristoranti. Ogni occasione è
buona per una battuta o un commento su quel cavallo o quel fantino coraggioso.
Una sera, dopo aver cenato in un rinomato locale sulla
famosa piazza, i titolari, lo chef e i camerieri mi hanno intrattenuto
spontaneamente, per ore e ore, a raccontar del Palio, del suo valore e dei suoi
riti, in una lucida, consapevole follia colettiva.
E’ proprio questa l'essenza dell’epica contesa.
La sua attesa comincia il minuto dopo che la corsa finisce e
termina con lo scoppio di mortaretto della corsa dell'anno successivo, con una
dilatazione spazio temporale che non tiene conto dello scorrere dei mesi, dei giorni
e delle ore.
Se chiedi ad un senese che ore sono, lui ti risponderà che “è l'ora di abbeverare il cavallo” oppure
che è tempo di ritrovarsi in contrada per le prove degli sbandieratori.
Non ti darà mai un ora precisa, il ritmo del tempo è
scandito da momenti: dal giorno della “terra in piazza”, che annuncia il periodo
del Palio o la consegna dei “Barberi”, i cavalli estratti e dati in sorte alle
contrade o la suggestiva benedizione di cavallo e fantino scandita dai
rintocchi solenni del Campanone sulla Torre del Mangia. O la sfilata delle
Comparse, i figuranti delle Contrade, che con i costumi medievali tradizionali,
le splendide Monture -vere opere d’arte di seta, velluto e broccato, perle e
pietre dure - danno vita alla Passeggiata Storica, il gran corteo che precede
la corsa.
Ogni contradaiolo affronta tutto questo con le proprie
scaramanzie.
C’è chi si nasconde in luoghi appartati, chi prega, chi
promette, chi contratta, chi si tiene occupato in vario modo, chi vorrebbe, per
un solo attimo, non essere del luogo.
Mentre, per molti turisti, quella giostra è solo una
manifestazione sportiva di ippica, circondata da un tifo da stadio o una specie
di spettacolo di rumore, folla e frenesia, che autorizza la violenza sugli
animali, per i senesi il Palio è soprattutto presenza, passione e turbamento.
Si sente, anche se non si vede: basti osservare dall’alto le gremitissima
piazza, dove una goccia non arriva a terra.
I quattro giorni che lo precedono - attesi con ansia, per un
anno intero - sembrano non passare mai e
forse è per questo che alla fine la reazione è tanto esplosiva, sia nella gioia
che nel dolore.
Alle aspre polemiche da parte degli animalisti più intransigenti
sullo sfruttamento degli animali - venerati, frustati, azzoppati e spesso
soppressi - i senesi rispondono dicendosi profondamente animalisti e sostengono
che l’amore che nutrono per i cavalli è veramente sincero e che in nessun’altra
città al mondo hanno le cure e le coccole che trovano lì.
Anche i bambini sanno che il cavallo deve stare tranquillo e
nessuno si sognerebbe mai di schiamazzare davanti alla stalla, vero salotto
dove c’è sempre qualcuno che vive, sorveglia e dorme col cavallo.
E le cure non si limitano solo ai giorni della festa, né al
periodo in cui il cavallo è utile per correre: c’è un pensionario appositamente
creato perché gli animali possano invecchiare in pace, circondati dell’amore
della gente che li va a trovare.
Diciassette Contrade in festa - ma in ogni Palio ne corrono
solo dieci - preghiere, inni propiziatori, stornelli cantati per sfottere la
Contrada rivale, cibo, cucine e cantine: il Palio è importante per l’economia
della città, ma i senesi non lo fanno e non lo amano per questo, ma per loro
stessi, perché è la loro vita, e se lo pagano.
È l’unica gara nella quale chi vince paga tutti gli altri ed
è ormai una delle poche, se non l’unica, dove non sono consentite
sponsorizzazioni.
Ogni senese è geloso e orgoglioso dei propri tesori e ci
tiene che i “forestieri” abbiano le informazioni esatte.
Al suono delle “chiarine”, entrano in campo i cavalli, nervosi e scalpitanti fino al momento, a volte assai lungo della “mossa”.
Caduto il canapo, la partenza. Tre giri a velocità paurose, fra
cadute, falli, spinte, scorrettezze e inciampi, fino alla luce accecante della
vittoria, fra i cavalli scossi.
Il Palio, per chi lo vive dall’interno, prevede anche inganno,
dispetti, manovre sporche e sotterfugio, oltre al tripudio, se il fato decide
di alleviare la gran pena con la vittoria. Non sarà mai una competizione
corretta o un esempio di lealtà. Non esiste fair play, anzi, non se
ne conosce nemmeno il significato.
Ciascuno deve fare la propria parte al fine di complicare la
vita alla contrada rivale. Tutto , ma davvero tutto, è ammesso per poter
conseguire il proprio fine.
Nella sfida non ci sono secondi o terzi: uno vince e gli
altri perdono. Una contrada ride, festeggia e di gioia impazzisce, le altre
piangono, soffrono e si disperano.
In questa feroce antinomia, al cavallo vittorioso è riservata
una visita in Duomo, in un gesto di pagana sacralità. Entra trionfante, con
tutti gli onori, in uno dei posti più belli della città.
In poche parti al mondo avviene questa fusione tra mistico e
profano.
Il Palio di Siena cattura l’ospite con i suoi favolosi
scenari, con i suoi riti, con la moltitudine di colori, con i suoi suoni e con
i suoi eccessi. E' un’arte affascinante, ma crudele, dove squilli di trombe e rullar
di tamburi sottolineano le sue contraddizioni, come nelle stagioni di una
guerra civile, che esalta e celebra insopprimibili sentimenti di tensione,
ostilitò, di odio e di rancore.
Fa emergere sensazioni nuove e sconosciute, se sai come
prenderlo.
Ma non cercare di capirlo.
P.S. Ringrazio per le
consulenze i competenti storici della materia.
Nessun commento:
Posta un commento