La frutta della stagione primaverile-estiva è senza
dubbio quanto di meglio la natura possa regalarci, anche con il modesto
contributo dell’uomo, soprattutto per la raccolta e la potatura.
Fragole, albicocche, pesche, ciliegie, susine, fichi,
meloni e cocomeri sono un trionfo di colori, di forme e di sapori che anche
l’arte, in particolare, la pittura ha magnificato nel tempo, pur non potendone
esaltare e riprodurre i profumi e i sapori.
Sono un amante e consumatore compulsivo di fragole
e in questo periodo ne ho divorato quantità industriali, scegliendo soprattutto
le dolci varietà della zona di Terracina: un po’ di zucchero di canna e tanto
limone, senza panna o gelato. Per fortuna non sono allergico a tale prelibato
nettare.
In questi ultimi giorni, però, sono giunti a completa
e quasi improvvisa maturazione i frutti dell’unico albero di mia proprietà: quello
delle meravigliose albicocche.
In una settimana di mia assenza, i rami stracolmi,
che reclamavano di essere spogliati, le hanno lanciate verso terra, lasciandole
cadere - complice il vento - su un tappeto quasi melmoso di insopportabile
spreco.
Un vero peccato e un insulto alla natura.
Un buon cinquanta per cento, comunque, si sono
salvate e sono state rapidamente colte con soddisfazione, mista a un pizzico di
amarezza per le “perdite” subite.
Era sette o otto anni fa, quando un amico
giardiniere mi portò una piantina di 60/70 centimetri, che pagai una decina di
euro, e che misi in terra in una semplice buchetta, scavata con la paletta e
innaffiata.
La varietà - mi disse quell’esperto - portava un nome importante e
significativo: “la Bella, o reale, di
Imola”.
Al momento, mi sembrò un tantino esagerato e pretenzioso.
Da quel giorno, il tenero fuscello ha fatto tutto
da solo, con il solo aiuto del sole e della pioggia: è cresciuto a vista
d’occhio, si è trasformato in arbusto, poi in arboscello, fino a diventare in
pochi anni un albero di sei-sette metri. Ha goduto, forse, di un microclima
eccezionale.
Dopo un paio d’anni, aveva già cominciato a
riempire i suoi rami di delicati fiori in primavera e a donarmi poco dopo quelle
delizie, gustose e succulenti, che rapiscono il palato, stuzzicando le papille.
Di grandi dimensioni, dall’ aspetto raffinato ed
elegante, dal colore arancione vivo, con sfumature di sovra colore rosso su
gran parte della buccia vellutata, dalla polpa compatta e croccante e spicca -
cioè, si stacca facilmente dal nocciolo - dal profumo intenso e dal sapore
dolce, delicato e persistente, come l’ambrosia, il cibo degli dei.
Tante le proprietà salutari e nutritive di questo
frutto, simbolo d’estate, povero di calorie, ma ricco di vitamine, carotenoidi
e di preziosi minerali che ne fanno un valido supporto in casi di anemia o
spossatezza e, soprattutto, di potassio che aiuta anche nell’attività fisica,
durante i mesi caldi.
E’ impossibile resistere al richiamo seducente
delle mie “belle e nobili di Imola”,
anche se nell’ampia gamma di varietà coltivate nel nostro bel Paese, ho
scoperto che esiste una cultivar - altrettanto buona - che, con poco rispetto,
è stata battezzata “la cafona”. Un’offesa
intollerabile. (Alfredo Laurano)
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