“Da
ieri ricevo messaggi privati e pubblici a dir poco deliranti perché ho scritto
del caso Vannini e oltre a intervistare la mamma del povero Marco, mi sono
permessa di intervistare l’avvocato della famiglia Ciontoli.
Non
perdo tempo a tentare di spiegare che intervistare la difesa non significhi
tifare per chi ha ucciso Marco, è una battaglia che do per persa. Così come do
per perso il fatto che la maggior parte dei forcaioli del web capiscano che non
bisognerebbe “tifare”, ma capire. E sì, anche la posizione di chi è colpevole. (ma quale posizione, stai zittaaaaaa,
l’hanno ammazzato e parli di posizioniiiiii ma taciiiiii)
Su
una cosa però ho deciso di perdere 10 minuti di questa bella giornata di neve,
e cioè sul concetto urlato ovunque “non
pagheranno”, “non hanno pagato abbastanza”, “5 anni non sono niente, torneranno
alla loro bella vita in un attimo”.
Semplicemente perché NON È
VERO.
Quando
con la bava alla bocca scrivete che una ragazza di 23 anni non ha più diritto
di vivere, quando pubblicate le foto del posto in cui ora forse lavora, quando
dite che dovrebbe essere sotto terra o per sempre in galera anziché lì a
campare normalmente e con lei suo fratello, il padre e la madre, vi perdete per
strada un’infinità di pezzi.
Questa
gente -siate sollevati- paga molto più di quello che stabilisce un giudice.
Perché la colpa, i processi, la pena sono già di per sé un inferno. Quando i
processi sono pure mediatici, sono l’inferno con Mario Adinolfi dentro. Io
personalmente preferirei 5 anni di anonima galera che uno solo di processo
mediatico. E parlo per la mia modesta esperienza.
Prendiamo
Martina, la ex di Marco, che forse è pure più odiata del padre. Vi disturba che
se la spassi mentre Marco è morto?
Sereni.
Da
tre anni per questa ragazza giovanissima è impossibile avere una vita sociale
decente, lavorare (l’hanno licenziata per le telecamere che la seguivano
ovunque), prepararsi a un futuro e progettarlo. Le è impedito di avere la vita
di una ragazza di 20 anni, di svagarsi senza che qualcuno non le faccia una
foto e scriva “Marco è morto e lei si diverte”, di conoscere qualcuno senza che
vada su google e scopra che è quella che ha fatto morire il fidanzato. Passa
giornate tra avvocati, nelle aule di tribunale, vive con nuovi processi
all’orizzonte, braccata dai giornalisti e fotografi. I suoi familiari, quelli
che potrebbero aiutarla, sono nella sua situazione, se non peggio, visto che
suo padre ha rovinato la vita a tutti.
E
l’ha spezzata a Marco.
Non
esisterà per Martina diritto all’oblio. Tutta la vita, la sua fama arriverà
prima di lei. Basterà digitare nome e cognome su Google in qualunque parte del
mondo. Molti non la faranno lavorare, non la vorranno. La giudicheranno. Andrà
a dare un esame e racconteranno che ha detto questo o quello. Senza verifiche.
La situazione economica della famiglia tra risarcimenti e spese legali sarà
eternamente compromessa, il tutto aggravato dal fatto che ora sono (credo)
tutti senza lavoro.
Ogni
sera Martina accende la tv, apre un giornale e qualcuno le ricorda cosa ha
fatto. Accende il telefono e legge che sui social la vogliono vedere morta,
bruciata, impiccata, sotto terra. Non vive più nella sua città da cui è
scappata, non vede più gli amici, è una morta vivente. Se esce, teme che
qualcuno la riconosca. Teme che qualcuno cerchi giustizia da solo. La madre di
Marco (comprensibilmente) la odia. La società la odia. Lei stessa probabilmente
odierà se stessa e questa esistenza.
E
così i suoi familiari, padre compreso che sa di aver segnato per sempre la vita
di tutti, dei suoi figli.
Possiamo
o potete pensare che Martina si stia meritando tutto, ma se dite “non sta
pagando abbastanza” è perché i panni delle vittime, della mamma di Marco, sono
i più facili da indossare (chi di noi non si immedesima in una donna che ha
perso un figlio così? Chi non capisce il suo strazio e la sua rabbia?).
Sappiate
però che indossare anche i panni di chi odiate, non è tifare per chi odiate, è
solo capire. Avere una visione lucida della storia.
O
umana, a seconda della distanza che separa voi dai forconi.
Martina
sta PAGANDO. E non è vero solo il gerundio. È vero anche il futuro semplice.
PAGHERÀ. Tutta la vita. (S.
Lucarelli)
“”””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””
Tutto
vero, tutto giusto, cara Lucarelli, non bisogna "tifare" coi forconi
in mano, ma capire dove arrivano la ragione, i sentimenti, i limiti e le
reazioni umane. Ma perché questo accada è necessario mettere gli altri in
condizione di sapere, di conoscere e, nel caso, anche perdonare.
Sarebbe
bastato, non solo non compiere il misfatto, ma semplicemente pentirsi, raccontare la
verità e i fatti, spiegare le cause e le motivazioni - serie, accidentali o
banali che fossero - soprattutto a quei genitori che hanno perso un figlio di
vent'anni senza sapere neanche perché, senza una sola ragione che possa dar
loro pace e rassegnazione.
L'inferno
di Martina e della sua folle famiglia, cinica e omertosa, l'hanno creato loro e
non è nulla rispetto alle fiamme del dolore che bruciano l'anima di una madre e
di un padre che, guardandosi negli occhi, si chiedono tutti i giorni, da quasi
quattro anni, perché.
Non sarebbe meglio per la
giovane infermiera, che comunque vive nel rimorso e da fantasma umano,
confessare la verità e dare una risposta certa, per guadagnare almeno il
Purgatorio?
1 febbraio 2019 (Alfredo
Laurano)
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