Quel
diario del ’43 che Andrea Camilleri affida a Montalbano è un pretesto per
raccontarla, anche settant’anni dopo, per ricordare la violenza della follia
umana che si scontra con il senso della vita, con la voglia di pace e
normalità. Ma anche con i vizi e la malvagità dei singoli che, per inseguire
insane voglie di ricchezza e di prestigio, non esitano a uccidere, a
santificare l’egoismo, salvo poi pentirsi nell’ultima fase della vita, anche
attraverso incredibili cospicue donazioni di denaro salva coscienza.
Una
favola triste di pura fantasia, ma aggrappata nella sua incredibilità a una
realtà che vive e si esprime comunque nel dolore e nella sofferenza. Dove il
senso del sacrificio, dell’onore e del dovere sembrano provocare una strage
che, invece, scaturisce da un amore struggente e travolgente, offeso nella sua
dignità, nella sua ardente profondità.
I
motivi della politica si intrecciano con quelli del cuore, le idealità si
sovrappongono ai sentimenti puri e personali, in un carosello di emozioni e
sensazioni coinvolgenti.
In
pochi, essenziali quadri si articola il racconto intenso di una tragica vicenda
umana, fra sensazioni, colpe, reminiscenze vaghe, vividi ricordi, memorie
condivise e rievocazioni. Una folla di curiosi, armati di telefonino, che
assiste come ormai d’obbligo alla demolizione del silos; un distinto e vecchio
signore che, quasi accanto, dipinge il porto; un diario che si integra con un
altro che lo completa e spiega; una sequenza silenziosa e simbolica, a base di
cannoli, che rappresenta l’omaggio, la stima e il dolore; una festa di paese
che fa da sfondo a un imperdonabile caso di coscienza, perché il passato, anche
il più lontano, non dimentica e non fa sconti; un Montalbano, quanto mai umano
e sofferente, seduto sulla sabbia accanto all’annunciato suicida, tormentato e
consapevole vendicatore, cui hanno tagliato le radici.
Pathos
e commozione costituiscono i segnalibro di quel diario del ’43. Attraversano
quelle pagine, anche quelle mancanti, come un ineluttabile fil rouge che non
lascia tregua o spazio all’indifferenza. (Alfredo Laurano)
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