Dopo
le richieste di condanna degli imputati da parte del PM, nella precedente
udienza del processo Vannini, la difesa dei Ciontoli ha oggi cercato di
limitare i danni.
La
strategia messa in campo, forse l’unica possibile allo stato delle cose e delle
verità processuali scaturite e ormai conclamate, non poteva che essere la derubricazione
del capo di imputazione, per far scendere il massimale della pena che la Corte
può applicare rispetto agli anni chiesti dal Pubblico Ministero (21 anni per
Antonio Ciontoli, 14 anni per la moglie e i due figli e due anni per Viola
Giorgini).
Gli
avvocati difensori, come previsto, hanno cercato di scardinare le accuse mosse
nei confronti degli imputati, evidenziando come, a loro avviso, la morte di
Marco Vannini non sia da ricondurre ad un’azione volontaria, ma a un incidente
di cui nessuno ha nascosto o sminuito la realtà.
L’omicidio
è quindi da ritenersi puramente colposo.
La
moglie del capofamiglia, Maria Pezzillo, donna meridionale molto semplice,
totalmente dipendente dal marito, i due figli, Martina e Federico e la
fidanzata Viola non mentono e sono innocenti, in quanto all’oscuro della
dinamica dei fatti. Tutti e tre, secondo la difesa, sono caduti in errore
proprio perché credevano in Antonio Ciontoli: “sono stati indotti a sbagliare, perché si sono fidati del
capofamiglia”.
Al
contrario, sempre secondo il collegio difensivo, hanno mentito tutti gli altri:
gli infermieri, i carabinieri, i vicini di casa, i genitori di Marco e tutti i
vari testimoni. Solo gli imputati hanno detto la verità.
Probabilmente,
visto l’ormai prossimo epilogo del processo e l’inevitabile sentenza di
condanna, i difensori puntano sulle sole responsabilità colpose e casuali del
Ciontoli, per provare a escludere e salvare gli altri coimputati, che non
sapevano, non capivano, non vedevano, non c’erano e, se c’erano, non hanno
visto, sentito, partecipato. Solo obbedito.
“Il vostro deve essere un
giudizio sereno e disinteressato, giustizia è dare seguito al di là del ragionevole
dubbio. Non c’è certezza e non c’è dubbio, pertanto chiedo l’assoluzione”.
Questa la conclusione dell’arringa difensiva, in attesa della sentenza del
prossimo 18 aprile.
Oltre
alle testimonianze confuse, contraddittorie e discordanti degli stessi
imputati, non sapremo mai perché è successo tutto questo, perché quella notte
Marco facesse il bagno, in presenza del futuro suocero, che giocava con le
pistole, come si fa, di solito, in tutte le famiglie.
Non
sapremo mai quel che è successo davvero, né perché non lo hanno soccorso
tempestivamente, perché lo hanno lasciato agonizzare, perché hanno minimizzato
i fatti e finto di non comprendere la gravità della situazione.
Dovremo
accontentarci di una mezza verità processuale, senza conoscere quella storica,
sostanziale, assoluta e, praticamente, irraggiungibile.
Comunque
vada, resta il fatto che, insieme a
Marco, costoro hanno ucciso anche il sentimento di pietà.
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