Il
mondo, in teoria, produce cibo a sufficienza per nutrire l’intera sua
popolazione: sette miliardi di persone. Ogni giorno, però, troppi uomini e
donne in tutto il pianeta faticano a sfamare i propri figli con un pasto
nutriente: una persona su nove va a dormire ogni notte senza mangiare. In
alcuni Paesi, un bambino su tre è sottopeso.
Secondo
il rapporto annuale delle Nazioni Unite, la fame nel mondo, di nuovo in
aumento, colpisce circa 815 milioni di persone (520 milioni in Asia, 253 in
Africa, in America Latina e Caraibi), vale a dire l'11% della popolazione
mondiale. Inoltre, molteplici forme di malnutrizione minacciano la salute di
milioni di persone. Circa 155 milioni di bambini, di età inferiore ai cinque
anni, sono sotto sviluppati (troppo bassi per la loro età), mentre 52 milioni
soffrono di deperimento cronico, che significa che il loro peso non è adeguato
alla loro altezza.
Queste
tendenze sono una conseguenza non solo dei conflitti e del cambiamento climatico,
come è noto, ma anche di precise scelte individuali, dei grandi mutamenti nelle
abitudini alimentari, dei rallentamenti economici, delle speculazioni
commerciali, dello sfruttamento delle risorse e delle spietate leggi del
mercato globalizzato.
Le
persone che vivono in povertà non possono produrre o acquistare cibo nutriente
per sé e per le proprie famiglie. Non possono permettersi l’acquisto di
sementi, di strumentazioni e dei necessari fertilizzanti e, pertanto, non
possono piantare le colture in grado di sfamarli.
In
altri casi, è la terra, l’acqua o la necessaria istruzione a mancare. Il
risultato è però lo stesso: i poveri soffrono la fame e la fame li intrappola
nella loro condizione di povertà.
In
molti Paesi in via di sviluppo, vi è insufficienza di infrastrutture agricole,
quali strade, magazzini e sistemi di irrigazione. Di conseguenza, sono elevati
i costi di trasporto, mancano strutture di stoccaggio e gli approvvigionamenti
idrici sono incerti. Tutto ciò concorre a limitare le rese agricole e l’accesso
al cibo.
Poi
c’è la questione clima e meteo.
Disastri naturali come alluvioni, tempeste tropicali e lunghi periodi di siccità e carestia determinano, anche per colpe e responsabilità dell’uomo (emissioni, inquinamento atmosferico, processi chimici e industriali), conseguenze assai drammatiche. La mancanza di acqua è una delle cause più comuni della scarsità di cibo nel mondo. Fenomeni di siccità ricorrenti vanificano i raccolti e provocano gravi perdite di bestiame in vaste aree, come quelle dell’Etiopia, della Somalia e del Kenya.
Ove
ciò non bastasse, guerre e conflitti compromettono sistematicamente
l’agricoltura e la produzione alimentare. I combattimenti costringono milioni
di persone ad abbandonare le loro case e producono vere e proprie emergenze
alimentari, perché gli sfollati si ritrovano senza i mezzi per sfamarsi. Il
lungo conflitto in corso in Siria, da sette anni, ne è un evidente esempio.
Anche
perché il cibo diventa talvolta un’arma di guerra.
Si affamano i nemici fino
alla capitolazione, attraverso l’accaparramento e la distruzione di cibo e
bestiame, assieme alla devastazione dei mercati locali. I campi vengono spesso
minati e i pozzi d’acqua contaminati, costringendo gli agricoltori ad
abbandonare le loro terre.
Altri
due fattori producono fame e miseria: i prezzi dei prodotti alimentari molto
instabili, che, quando salgono, rendono difficile per i poveri l’accesso
normale e continuo a cibo nutriente, costringendoli a ripiegare sul consumo di
alimenti più a buon mercato e meno energetico, con conseguente rischio di
deficit nutrizionali e di malnutrizione.
E
lo spreco alimentare.
Un
terzo di tutto il cibo prodotto (1,3 miliardi di tonnellate) non viene mai
consumato e rappresenta un’opportunità mancata per migliorare la sicurezza e
l’equilibrio agro-alimentare, in un mondo dove troppi soffrono la fame.
In
Italia, per esempio, ogni anno si buttano nella spazzatura 145 chili di cibo
per abitante. Nelle mense scolastiche, un pasto su tre finisce nel cassonetto e
nei supermercati lo spreco alimentare pesa per 19 chili all'anno, ogni metro
quadro.
Eliminare
la fame e la malnutrizione è dunque una delle grandi sfide del nostro tempo.
E
questi che fanno?
In
questo desolante e drammatico panorama, giocano all’isola della fame. O dei
famosi.
Uno
schiaffo alla miseria, un insulto alla vita, al diritto all’esistenza.
Un
macabro spettacolo offerto da ricchi benestanti, con le chiappe al vento, che
si travestono da poveri, da derelitti “robinsoncrusoe”, abbandonati al caso,
per denaro e per contratto: una insopportabile presa in giro per chi lotta per
un tozzo di pane, per chi è dimenticato ed emarginato dal benessere.
Li
pagano per non mangiare, per recitare la parte di naufraghi nel selvaggio
teatrino della sopravvivenza, in un'isola esotica e deserta, dove devono
costruirsi un rifugio, accendere il fuoco, procurarsi il cibo, senza comodità,
ma con tanto di assistenza, di controllo, di equipe medica e un fottio di
telecamere al seguito.
Li
pagano per oziare, per trastullarsi nel mare cristallino e tra le piante, per
fingere disinvoltura, per dimagrire senza il dietista, per svolgere prove
fisiche e sfide collettive di ricompensa, per guadagnare un po’ di cibo e
inutili trionfi. Per confrontarsi fra gelosie, invidie, ripicche e
insinuazioni. Per scontarsi in nomination e imbecillissimo televoto.
Una
decina di sfigati, improbabili superstiti, costretti, sempre per gioco e per
gli ascolti, a una dispettosa convivenza, dove non mancano lacrime e litigi,
urla e doppi sensi, amori notturni e nudissimi costumi.
Li
pagano, pure, questi presunti vip della parrocchietta, ciondolanti nel nulla
cosmico di una coscienza persa in un’isola infelice.
E
il bello, per non dire il tragico, è che tutto questo patetico carrozzone ha
notevoli costi di produzione, di organizzazione tecnica, di mezzi, di
personale, di trasporti. Denaro buttato alla discarica morale, come il detto
cibo che si spreca, che sfamerebbe tanti bisognosi.
Questo
ennesimo esempio di TV spazzatura - come i grandi fratelli, le rubriche del
dolore spettacolarizzato, i contenitori del peggior gossip domenicale o
pomeridiano, le marchette postribolari delle varie regine del trash (D’Urso, De
Filippi oltre la Marcuzzi, la Ventura) - dà completa assuefazione e frigge il
cervello degli utenti, che ne chiede sempre di più ed è disposto a bersi di
tutto pur di non dover pensare.
E
questa programmazione, superbamente idiota, coglie questa voglia di
superficialità, di mediocrità e leggerezza e abbraccia questo pubblico turbato
e accondiscendente.
E’
pronta a gratificare questi desideri, propinandoci il peggio del peggio.
Se
quelle trasmissioni esistono, evidentemente c'è richiesta, c'è audience. Come
per quei giornali scandalistici che ci raccontano vita, morte e miracoli di
altri sedicenti vip, nuovi idoli mediatici, che non sanno nemmeno parlare
l'italiano, ma fanno i tronisti o le aspiranti miss, e vengono venduti più dei
quotidiani.
Comunque,
ben vengano i minus habens in TV a mostrarci quanto in basso possa scendere
l’evoluzione umana: il loro esempio negativo serve a porre un punto fermo oltre
il quale non bisogna precipitare.
E
mentre qualcuno gioca a non mangiare, c’è chi muore di fame per davvero.
21
marzo 2018 (Alfredo Laurano)
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