I
fratelli Taviani hanno scritto, in carriera, meravigliose pagine di cinema, da
Padre Padrone a Kaos, da Cesare deve morire a Boccaccio, passando per La notte
di San Lorenzo e tanti altri.
Un grande cinema che coglie la
gente nella sua normalità, con i suoi limiti ed i suoi eccessi, con i suoi buoni
sentimenti e con la sua malvagità, con il suo egoismo e le sue contraddizioni. Un’umanità
genuina e vera, espressione di una cultura popolare radicata nella tradizione,
ma sempre immersa in atmosfere poetiche e struggenti.
Ieri,
a 88 anni, se n’è andato Vittorio, il fratello più grande di due anni di Paolo
e, in suo onore, ho voluto rivedere La notte di S. Lorenzo (1982), un film
epico e fiabesco nello stesso tempo, che ricorda, con stile definito di “realismo
magico”, la fuga nelle campagne degli abitanti di San Miniato, in Toscana, per sottrarsi
alla ferocia dei fascisti.
E lo fa attraverso l'ottica drammatica e sognante di
una bambina che partecipa agli eventi e li rievoca, molti anni dopo, davanti al
figlioletto in fasce.
Nei
suoi occhi - che poi son quelli dei due registi - emergono i ricordi personali.
Sono
occhi, carichi di ingenuità, che raccontano uno dei tanti drammi della seconda
guerra mondiale e l’atrocità di uno scontro fratricida, ma che guardano, però,
anche alle tenerezze, alla buona volontà, alla solidarietà, agli eroismi e alla
paura della gente comune: poveri contadini, che, tra pianti, lamenti e dolore, cercano
di salvare la propria vita e quella dei loro cari, senza mai diventare eroi
della Resistenza, né assurgere a martiri della ferocia nazifascista.
I
suggestivi paesaggi della campagna toscana fanno da sfondo a questo conflitto
di sentimenti e rivestono un'importanza fondamentale nell'articolarsi della
vicenda.
Fra
le varie sequenze, restano memorabili la selvaggia battaglia nei campi di grano
fra contadini e fascisti, dove si ammazzano a bruciapelo, come se fosse
normale, ex amici, parenti e odiosi ragazzini in camicia nera, di contrapposta
fede, e l'immagine onirica e omerica del corpo del giovane fascista trafitto da
tante lance, che la bambina immagina come quelle dei soldati romani.
La
morte che si dà e si riceve con leggerezza e ineluttabilità, come fosse un
gioco, uno scherzo, una finzione e non un tragico massacro.
Film capolavoro e di autentica poesia, raccolto in uno spicchio di tragedia di un intero popolo.
Corale,
essenziale, asciutto, di grande forza narrativa e indubbia capacità evocativa, senza
mai cedere all’enfasi e alla facile retorica o al compiacimento di descrivere
la violenza.
Tra le diverse allegorie, le sfumate
note di Bandiera rossa, l’inno antischiavista americano e le musiche di
Piovani, l’opera dei fratelli Taviani immagina un mondo libero e giusto e lo
traduce in favola, triste, cruda e seducente, ornata da un disperato richiamo
alla giovinezza, alla nostalgia e alle stelle cadenti, dove la fitta pioggia
finale, purificatrice e catartica, annuncia la speranza.
(Alfredo Laurano)
(Alfredo Laurano)
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