Senza
citare la solita frase sulla tolleranza attribuita, pare erroneamente, a
Voltaire è, ovviamente, scontato che ognuno ha diritto di esprimersi,
criticare, dire la sua su ogni argomento.
Gabriele
Muccino, premettendo di amarlo come pensatore, giornalista e scrittore, ha
scritto che Pasolini regista fosse fuori posto, anzi, semplicemente un “non”
regista”, che usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile, senza
un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava.
Tale
affermazione ha scatenato una pioggia di critiche e insulti sul social network
a cui ha fatto seguito una temporanea chiusura del profilo Facebook. Gli hanno dato, con rabbia e violenza, del
mediocre, dell'arrogante, della nullità; insulti a destra a manca, una
sassaiola da vandalismo intellettuale, come contro colui - dice Muccino - che ha
osato dire che forse la Terra non era al centro dell'Universo. Tutto questo
è inaccettabile.
La
risposta a Muccino, quindi, non può e non deve essere l’ingiuria, deve essere
nel merito, nel valore di un’affermazione o nella contestazione argomentata di
un certo pregiudizio, rispettandone comunque l’opinione.
Quello
di Pasolini, da un certo punto di vista, fu forse un anticinema, la sintesi di
un’altra visione del mondo, espressa con l’immagine (estetica) unita alla
parola (essenziale e cruda), in maniera totalmente nuova e dirompente:
Accattone, Uccellacci e Uccellini, Medea, Salò e Il vangelo secondo Matteo, ne
sono eloquenti esempi.
Muccino,
come chiunque altro, ha tutto il diritto di preferire la commedia all’italiana,
il neorealismo, De Sica, Rossellini, Fellini, Visconti, Leone, Bertolucci, ma
affermare che la macchina da presa di Pasolini avrebbe rovinato il cinema di
quei grandi è quanto meno paradossale.
E’ come mettere a confronto o in
competizione Caravaggio e Picasso o Renoir e Guttuso.
A
quel pregevolissimo cinema, che tutti amiamo e veneriamo, Pasolini ha opposto
la sua filmica poetica, soggettiva e antinarrativa, che non risponde ai criteri
del racconto lineare, logico e sensato (lo diceva lui stesso), tipici del
filone propriamente narrativo.
E’
un altro genere, ma non per questo conflittuale o antitetico. E’ naturale che
anche le inquadrature, gli stacchi, le dissolvenze e i movimenti di macchina
siano diversi o, piacevolmente, “amatoriali”.
Una tecnica che ha spezzato
stereotipi etici ed estetici, senza rinnegare o stravolgere i canoni della
Settima Arte, in nome della propria, presunta superiorità intellettuale. Dove
metafore violente, orribili e perfino disgustose per rappresentare il male
(Salò) si alternano a momenti di assoluta poesia per rappresentare l’amore e la purezza dei sentimenti (Mille
e una notte).
Allegorico
e popolare, ma anche profondo e aristocratico nelle scene e nelle
ambientazioni, quel cinema del grande artista, che amava la letteratura,
l’eros, il calcio e, soprattutto, il libero pensiero, ancora oggi scandalizza e
fa discutere, come fu anche per le sue opinioni radicali, le sue critiche
taglienti e per tutto il resto della sua vastissima opera.
Ed
è per questo che non voglio permettermi di definire i film di Muccino un po’
mediocri, un po’ stucchevoli e, a volte, un po’ patetici.
Quelli
di Pasolini, comunque la si pensi, sono entrati nella Storia.
5
Novembre 2015 (Alfredo Laurano)
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