Le
critiche che Umberto Eco ha rivolto al mondo dei social, nel suo intervento
all'Università di Torino - dove ha ricevuto la laurea honoris causa in
Comunicazione e cultura dei media - hanno suscitato un mare di polemiche, di
commenti e anche di condivisioni.
In
effetti, non ha detto nulla di nuovo o di particolarmente eretico, ha solo
ribadito dal suo pulpito privilegiato e autorevole le stesse cose che un po’
tutti noi pensiamo e scriviamo da tempo: internet è una sconfinata palestra
internazionale di libertà che favorisce la comunicazione, il dialogo, la
conoscenza, la diffusione delle idee, ma che dà
diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima chiacchieravano al bar,
dopo due bicchieri rosso, e ora hanno lo stesso diritto di dissertare di un
premio nobel. E diventa difficile poi distinguere.
Nel grande contenitore
anarchico della Rete, ognuno scarica i suoi pensieri, le sue riflessioni, le
sue emozioni, ma anche malvagità, ansie, ossessioni, frustrazioni e limiti. E
lo fa con gli strumenti culturali di cui dispone.
Non credo che Eco, come qualcuno banalmente
afferma, voglia impedire la libertà di espressione, forse osserva e denuncia la
dilagante corsa al volgare strillo quotidiano, all’ottusità, al colpevole preconcetto,
al raglio del citrullo telematico e segnala la necessità di individuare ed
emarginare il nuovo scemo del villaggio globale, che non è innocuo come il
tradizionale, ma fa gravi danni alla comunità.
Tutto questo, ripeto, è sotto i nostri occhi
e lo cogliamo ogni momento e ne discutiamo, anche molto vivacemente, frequentando
quelle vie informatiche.
Fermo
restando il prezioso, irrinunciabile ruolo di circolazione del pensiero e dei
principi in ogni luogo, anche dove diritti e libertà non sono sempre acquisiti
o garantiti, la struttura comunicativa di internet e dei social network, ovviamente,
favorisce anche gli esibizionisti, gli imbecilli, gli ignoranti, i repressi, i
malintenzionati, i truffatori e un’altra infinita serie di categorie di
variegatissima umanità: che c’è da stupirsi? Constatarlo e rappresentarlo mi
sembra elementare, fa parte del semplice buon senso.
Si parla spesso di netiquette, il galateo di
internet, cioè di quell’ insieme di regole che disciplinano il comportamento di
un utente nel rapportarsi agli altri utenti, attraverso siti, pagine, forum,
blog o email, con rispetto, educazione e non come barbari incivili. Ma, troppo
spesso questa essenziale esigenza di bon ton viene ignorata e quel fantastico
strumento di scambio e apprendimento si svilisce e diventa sfogatoio di
pulsioni o vetrina di odiosi pregiudizi. Grettezza, meschinità e cecità della
ragione trovano così diritto di esistenza e costante ospitalità.
Non è
solo una questione di educazione, di valori, di etica civile e di coscienza
critica, ma di possibili forme di manipolazione e mistificazione che, dietro il
paravento dell'anonimato usurpano un malinteso senso di autonomia e democrazia.
Non va dimenticato che quelli che usano
impropriamente la rete, e si distinguono per la loro miseria culturale e per
pochezza e tracotanza, sono gli stessi che poi hanno diritto al voto come gli
altri e scelgono non sulla base di convinzioni, confronti o di scambi di
opinioni, ma di facili stimoli, slogan e messaggi che i media ed il Potere
fanno loro strumentalmente arrivare.
La libertà di parola e di espressione è un
diritto di tutti, ma non di coloro che insultano, provocano, offendono,
aggrediscono, calpestano il rispetto e la realtà, e diffondono impunemente la
propria imbecillità.
L'antidoto contro gli idioti del web dovrebbe
essere il silenzio, l’indifferenza, lo scetticismo, non la replica o la
censura.
Ma non
sempre è possibile o non sempre ci riusciamo.
12
giugno 2015 (Alfredo Laurano)
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