Da Mafia
Capitale uno, a Mafia Capitale due:
sono i grandi titoli delle due fasi, per ora, dell’opera criminale romana.
Sono la marca, il brand che distingue e
definisce il genere, l’attività, i luoghi, più che le specializzazioni, i
prodotti o i servizi di specifica competenza.
Dal Mondo
di sopra, di sotto e di mezzo, alla Mucca
deve mangiare, per mungerla: sono invece gli slogan che li illustrano, li
spiegano, ne colgono il significato. Sono l’essenza che li racconta, l’efficace
metafora che, da sola, li simboleggia.
Proprio come accade nei film di successo,
tipo “Amici miei”, atto 1, atto 2, atto 3, come nei serial, nelle soap, nelle
fiction più amate e popolari della TV.
O nelle ammiccanti headline, studiate dai
creativi delle migliori agenzie pubblicitarie, per lanciare una importante
campagna di marketing su biscotti, auto, creme o pannolini. In questo caso,
veicolano il messaggio della corruzione e del malaffare, l’odore dei soldi, il
fascino della tangente, ma sempre sotto forma di immagine eloquente e popolare.
Cambia l’oggetto, cambia il prodotto e il
target di riferimento, ma la tecnica è sempre quella, sempre la stessa.
Affinità, più o meno elettive, fra due mondi
che non si escludono a priori, perché non condizionati da alcun obbligo morale.
Dopotutto, anche il peggior delinquente è difeso dai migliori avvocati.
Di quella realtà criminale su più piani, ne
evocano il marchio di fiducia e qualità - si fa per dire - in un logotipo
grafico, testuale e immaginario che non ha bisogno di particolari forme o
colori per rappresentarlo. Perché, come accade nella pubblicità d’autore, una
headline per essere incisiva e penetrante, deve catturare subito l’attenzione
del lettore/osservatore e riassumere o suggerire il vantaggio del prodotto/servizio
proposto.
Così, come - per restare nello stesso
ambito pubblicitario - il payoff, per sintetizzare la vocazione del brand, deve
avere un obiettivo di comunicazione specifico, diverso da quello attribuito al
nome o al simbolo della marca. Deve poter evocare valori ed emozioni che possano
rimanere indelebili nella memoria del consumatore o del cittadino-cliente.
Il payoff è quell’elemento verbale semplice,
sintetico, facile da ricordare che accompagna il logo di una azienda, che
aumenta il suo potere distintivo, che ne accresce la riconoscibilità e la familiarità.
Che lo distingue e lo identifica.
Come “Connecting people” di Nokia, come “Just
do it” di Nike o “Impossible is nothing” di Adidas; come “Galbani vuol dire
fiducia” o “Dove c’è Barilla c’è casa” o Dash, “Più
bianco non si può”.
Sono solo alcuni classici esempi, a tutti
noti, che hanno saputo concentrare in una facile espressione l’essenza del
brand, riassumendone l’anima e occupando un posizionamento unico e
riconoscibilissimo: una breve formuletta che lo trasforma e lo fissa nel tempo.
Come, appunto, è anche la “la mucca che deve mangiare”, dell’atto
secondo dell’inchiesta sul brand “Mafia Capitale”: 44
arresti e 22 indagati, fra manager, imprenditori, politici di destra e di sinistra
della banda Buzzi - Carminati, coinvolti negli sporchi affari dell’accoglienza.
Anche mafia, camorra e malavita
organizzata hanno bisogno di marketing e di validi creativi, magari rozzi, autodidatti
o fatti in casa: lo pretende la nuova comunicazione digitale per affermare le
proprie strategie, per fidelizzare, per interagire con i clienti, per sviluppare
nuove iniziative, per offrire allettanti opportunità di arricchimento, per lasciare
il segno del comando.
E ora, pubblicità, ma restate con noi…non
cambiate canale, mi raccomando!
5 giugno 2015 (Alfredo Laurano)
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