Per una volta, ma, in verità non è l’unica,
ragioniamo da tifosi, da appassionati del pallone, da amanti del proprio
campanile, che hanno il cuore grosso, mezzo giallo e mezzo rosso.
Così, tanto pe’ parla’, tanto per sfogarsi un
po’.
Come premessa o, se preferite, come
conclusione di una triste riflessione, quasi ideologica e fideista, voglio
affermare che bisognerebbe trovare la forza e il coraggio di uscire da questo ridondante
carico del tifo, di rinnegare quella logica ormai assolutamente commerciale che
ha svilito ogni dimensione sentimentale che ruota intorno allo sport più bello
del mondo. Quel sistema affaristico e mercantile in cui sguazzano le società di
Calcio, che cancella sempre più la spontaneità e le emozioni forti che ci hanno
guidato fin da ragazzini e accompagnato la nostra sana crescita, quando
prendevamo a calci un improbabile pallone, nei polverosi campetti parrocchiali
o di periferia.
La prepotente e odiatissima Juventus, da
sempre squadra dei padroni, ha comprato anche Ronaldo, a cifre da capogiro,
immorali anche per il più convinto degli speculatori.
Da sempre, è regina del mercato, da sempre
prende chi vuole, impedisce ad altri di acquistare in libertà, ricatta chi è in
difficoltà e compie il colpo grosso. È una società di grandi capitali, che
investe e spende secondo brillanti logiche liberiste che portano risorse e lauti
guadagni, a breve o a medio termine. E non sbaglia mai un affare: se cede un “campionissimo”,
lo fa per una strategia vincente e per avere di meglio e di più di quanto
avesse già.
Al contrario della ridicola A. S. Roma, già
Rometta, il club dei lupi famelici, ma sdentati.
La società che ha avuto per vent’anni un
fenomeno, fatto in casa, al quale poco o niente ha fatto vincere; che non è
stata capace di costruirgli intorno un grande e costante squadra; che gli ha fatto
chiudere la carriera in modo quasi vergognoso, grazie a un allenatore
spocchioso, invidioso e vendicativo.
Quella stessa società pallottiana e americana
che pensa solo al nuovo stadio e al merchandiser, che ha segnato il declino in
un sogno antico, di un idillio unico e senza fine, davanti a speranze deluse e
inconcepibili logiche da business.
I campioni più amati si vendono alla fiera, perché fanno
cassa, e si prendono le pippe, le mezze pippe, i fisicamente rotti o gli scarti
Juventini: via Pianic, via Benatia, via Rudiger, Emerson Palmieri e, soprattutto,
via l’imprendibile Salah. E via, oggi, l’arcigno Nainggolan e Alisson, il
portiere più forte del mondo, che assicurava almeno venti o trenta punti in
campionato e prestazioni degne in Champions League.
Dentro, i grandi affari di incapaci, emarginati
e poveretti: i vari Defrel, i Gonalons, gli Schic, i Gerson, i Moreno e il
biondo Karsdorp, visto solo in figurina e che non sappiamo nemmeno se cammina.
E non è finita qui, aspettiamoci di vedere al
banco dei saldi di stagione gente come Perotti, come El Sharawi, come Manolas,
come Florenzi e non so chi altri ancora. Dipende sempre e solo dalle offerte
che arrivano agli avidi padroni americani, illuminati da un direttore sportivo,
incapace e venale, come Monchi.
In questa Roma, che
fu dei Sensi e dei Viola, già “core de na città, unico grande
amore de tanta e tanta gente che faceva sospirà, gialla come er sole, rossa
come er core mio”, il calcio viene dopo, assai dopo, o solo per giustificare la ragione
sociale, anche quando Pallotta fa il bagno nella fontana di Piazza del Popolo,
per darla calda - come si dice qui - e per ingannevole folclore, quanto basta,
di fronte a ingenui fan che pagano il biglietto.
Per tutto questo occorrerebbe scioperare,
dismettere l’abito da tifoso, non andare più allo stadio, non sottoscrivere
abbonamenti alle Pay TV, non dare più una lira a questi americani.
Ma tutti noi, malati d’amore, siamo o saremmo
mai capaci “de non facce più incantà?(Alfredo Laurano)
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