E’ vero che, ormai, se sei scemo, ignorante
o incivile, grazie ai social, hai il privilegio di farlo conoscere rapidamente
a tutti. Prima, lo sapevano in pochi, in famiglia, al bar, alcuni amici e
conoscenti di paese o di quartiere.
Un’orda di casalinghe stanche, bande
di ragazzini prepotenti e bulli, un esercito di invasati, di repressi, di
malati, di invidiosi e di webeti comuni insultano chiunque, a prescindere da
ciò che scrive, esprime e pubblica. Si fomentano reciprocamente al meeting
motivazionale dell’imbecillità e dell’esibizionismo sgrammaticamente parolaio,
nella speranza di vincere il premio del più cretino, all’unanimità o a
maggioranza, o l’alloro accademico dello scemo del villaggio (globale), di una
volta, che si è trasformato in citrullo telematico - il cui raglio spesso
procura gravi danni non solo alla comunità virtuale - o di celebrarsi,
gratuitamente, nella notte degli oscar dei coglioni viventi.
E’ il sistema di marketing piramidale
e popolare che, purtroppo, producono il web e i social, e che andrebbe vietato per
legge ai minori, ai minus habens, agli analfabeti, più o meno funzionali, e
agli incapaci. E’ la grande piazza virtuale che non vende frutta e
verdura, ma scampoli di pensiero, spesso malato o tristemente deviato.
In questa grande chiavica, in questa
cloaca massima putrescente, dove ciascuno sversa, abusivamente, il proprio
letame morale e culturale, galleggia e si condensa odio, violenza e cattiveria.
Nessuno ascolta più, se non se stesso, nessuno si sforza di capire l’altro, di
accettare l’altrui pensiero, se non coincide col proprio o se diverso. Trionfano
giudizi, pregiudizi e raffiche di insulti.
Dove
è finito il rispetto, il civile confronto, la sensibilità, l’umanità?
Come
sempre, come accade in ogni occasione che la cronaca o l’attualità fornisce, la
mia amica Giulia Bettini colpevole, come tanti, come tutti e come il sottoscritto,
di aver osato scrivere un paio di innocenti riflessioni - sobrie,
pacate e misurate, come nel suo elegante stile - sul Marchionne uomo, è stata subissata di ingiurie,
di battute e di facile ironia da donne, uomini, mezzi uomini e umanoidi vari, senza
patria, né cervello.
L’hanno
aggredita, offesa e vilipesa, ridicolizzata e coperta di volgari allusioni, di parolacce
ed improperi. L’hanno accusata di ipocrisia, pochezza culturale e banalità.
Il
solito, stonatissimo coro polifonico delle accuse, delle insinuazioni, delle
malignità gratuite e preconfezionate, sparate a caso nel mucchio, per far
rumore e senza distinzioni.
Non
serve capire, conoscere, aver contezza, importa spargere veleno e volgarità,
pur di esercitare l’abusatissimo diritto al disprezzo dell’altro: sempre
nemico, sempre in torto, sempre impuro o criminale, da condannare, senza
processo, dall’alto del proprio presunto rigore morale, da integerrimo giudice
fariseo.
E’
ormai un rito collettivo, quasi un bisogno fisiologico, cui non ci si può
sottrarre, come mangiare, respirare e segnare il proprio pezzettino di vanesio
territorio, come gli animali.
Chiunque
si sente in dovere di diffondere calunnie o opinioni a cascata o rubate al
primo cazzaro digitale di passaggio, pur di illudersi di esistere, di contare,
di avere un ruolo e uno straccio d’identità, nel tentativo di emergere
dalla mediocrità e dall’oblio esistenziale o per riscattare proprie ferite e
umiliazioni, sociali o personali, riversandole sugli altri, o per inconscio
rito apotropaico che allontani il male da sé.
Costoro
fanno parte a pieno titolo dello smisurato plotone dei cecchini digitali, di
cui ho parlato tante volte, appostati notte e giorno sui tetti della ottusità,
per colpire a tradimento.
Sparano
e spalano fango, questi vili professionisti dell’invettiva, che ormai dilagano
e si riproducono più dei vermi e dei conigli. Frustrati mercenari del rancore e
della rabbia repressa: ogni occasione è buona per riaffermare la propria
ingiustificata imbecillità. Ignorano i fatti e le persone, non distinguono, non
argomentano, ma giudicano comunque e, a comando, sputano sentenze.
Non
sanno che la libertà di ciascuno, anche in Rete, finisce dove inizia quella
dell’altro e le leggi vigenti già fissano confini chiari e certi.
Tutte
le opinioni meritano rispetto ma, prima di impugnare il mouse e la tastiera - nuove
armi della endemica, selvaggia e permanente guerra del Web - ognuno dovrebbe
domandarsi se e quanto sia legittimo o nocivo il proprio commento e quale
effetto produrrà sugli altri, colpiti da quelle parole, come proiettili o dardi
acuminati.
Mi
piacerebbe conoscerli davvero costoro, guardarli in faccia questi miserabili
senza volto e senza vergogna, spregevoli esemplari, reali e non virtuali, che
si nascondono dietro uno schermo anonimo e livellante, che sparano col mouse
come un mitragliatore.
Su
questi vili e laidi cecchini digitali, sputerei volentieri tutto il mio
disprezzo: reale e non virtuale.
Per usare
una metafora, poco sottile, ma efficace, mi fanno veramente schifo.
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