È come se
esistesse una nuova crociata, molto più che virtuale, contro l’abbaglio della
coscienza e della ragione, al grido di “il
web lo vuole”.
Se “tutto il mondo è social”, che risponde
a un insopprimibile comandamento imperativo, deve esserlo anche la vita di
ciascuno.
La Rete siamo
noi: è il nostro pane quotidiano, il vino che ci inebria e ci fa volare, la
droga eterea che assumiamo in varie e massicce dosi, il nostro comune dio
fittizio o il grande fratello della dipendenza. Conformismo, fedeltà,
appiattimento, condivisione (che diventa spesso sottomissione), le regole che
ci impone. Soprattutto ai giovani, ai ragazzi che vivono di sfide, di emulazioni,
di confronti, di contraddizioni e che si nutrono di tale catechismo.
È lecita
questa riflessione? È logica e coerente? Non lo so, ma potrebbe esserlo.
I social hanno oggettivamente assunto uno strapotere
reale, economico, e culturale. Hanno modificato le nostre abitudini personali,
intime, relazionali e commerciali, hanno condizionato le nostre scelte.
La Rete
consente anche che pensieri comuni, falsità e opinioni volgari e impopolari
possano viaggiare, senza biglietto e senza pagare pegno, fino alla stazione del
dialogo e della ragione, fino al delta della popolarità. Consente a chiunque di mettersi
alla guida di una missione d’odio e integralista o di paura e sudditanza.
Consente l’orientamento, la diffusione e la propaganda, fino a convincere molte
fette di variegata umanità che quel che di virtuale si costruisce e si elabora
su Internet sia altrettanto vero e valga per la l’intera popolazione reale
della terra. Una doppia dimensione che poi si sovrappone.
Vedere quelle
immagini di ragazzine che si lanciano nel vuoto da edifici altissimi, per
ammazzarsi in virtù di un gioco tragico, allucinante, incredibile e molto più
che assurdo - un tributo all’orrore sociale, una concreta prova di obbedienza a
un persuasore occulto - lascia senza fiato. Increduli, attoniti, confusi.
Induce a
considerare il fallimento della società tecnologica, a danno di residui
spiragli di umanità ormai deviata, annichilita, compressa, condizionata. Per
non dire cancellata.
Una storia del
terrore, che è riuscita a rimbalzare da un capo all’altro del mondo.
Il Blue Whale
è un "gioco" macabro, nato in Russia, diffuso in Brasile, Canada,
Francia e poi arrivato anche da noi.
Regole folli
per partecipare a una roulette che non sorteggia un vincitore, ma solo vinti: adolescenti
prostrati spinti al suicidio, come purificazione da ogni male, fra mistero,
paura, plagio, leggende metropolitane, bufale, fake, trovate commerciali per
vendere notizie sconvolgenti.
Una fantasia
social? Un’invenzione di qualche mente malata?
Dietro questa
catena dell’orrore, esisterebbe una rete di ideatori, organizzatori o tutor
psicopatici (detti Curatori) in grado di influenzare e plagiare i giovani più
disagiati ed emotivamente instabili, attraverso sfide e ordini che li privano
di ogni capacità cognitiva.
Le vittime
prescelte sono ragazzini dai 9 ai 17 anni. Il fine, quello di farli suicidare,
manipolandoli psicologicamente.
Questi mostri,
fanno loro credere, che la vita è inutile.
Li contattano
attraverso i Social e gli danno una serie di regole assurde da seguire.
Ad esempio,
guardare film dell’orrore per un giorno intero, incidersi sul corpo con un
rasoio una balena azzurra, svegliarsi alle 4.20 del mattino, tagliarsi un
labbro, passare un ago sulla mano più volte, procurarsi dolore: il tutto per 50
giorni.
L’ultimo
giorno, il gioco prevede che si devono ammazzare, buttandosi da un palazzo, il
più alto della città.
Il volo viene
ripreso da altri partecipanti e conoscenti del gioco, perché poi i video
vengono inviati. Durante il suicidio, il profilo della vittima, viene gestito
da queste stesse persone.
La regola
base, è di non parlarne con i famigliari e di non farsi scoprire.
Il simbolo del
gioco è una balena, perché la balena, a volte, si suicida spiaggiandosi.
Le vittime ad
oggi, solo in Russia, sarebbero 157, contro i 1700 di “normali” suicidi annuali
di adolescenti. Quelli che si sono lasciati trasportare in questo vortice di
orrore, prima di farla finita, lo dichiarano sui social con frasi piuttosto
enigmatiche: “Questo mondo non è per noi”
oppure “Siamo figli di una generazione
morta”.
Il servizio
delle “Iene” di pochi giorni fa documenta tutto questo, come hanno già fatto
numerosi quotidiani, e sembra confermare il tragico gioco. Anche se ricerche su
vari siti, dimostrano che i suicidi di teenagers filmati, come quelli di cui si
parla nel servizio, sono una tragica realtà in Russia non da ieri, ma da anni,
ben prima che il Blue Whale apparisse sul web.
I primi a
parlarne a maggio 2016 sono stati i redattori della Novaya Gazeta russa.
Tutto partirebbe
da un social network russo VKontakte che, come il nostro Facebook, ha gruppi
chiusi di svariato genere, tra cui alcuni dedicati ai depressi o agli aspiranti
suicidi, all’interno dei quali sarebbe stato fatto circolare questo “gioco” e
che il tutto avrebbe portato a suicidi improvvisi.
Sull’onda
dell’articolo della Gazeta, le segnalazioni e i gruppi si sono moltiplicati, ma
sempre senza nessuna prova vera che colleghi i suicidi a quel gioco.
Che sia
emulazione, effetto troll, ricerca di visibilità malata?
Non si sa.
Quello che è certo è che, da quel primo articolo, la vicenda pian piano ha fatto
il giro prima della Russia e ora se ne parla anche in USA e Europa.
A Livorno, a
febbraio, un ragazzino si è buttato dal 12º piano. Un’altra vittima del Blue
Whale?
In Costa Rica
il fenomeno della balena blu pare sia molto noto. Si vedono moltissimi giovani
con il "branding" della balena nel braccio e diversi sono arrivati all'ultima
"prova" del suicidio. La polizia nazionale l’ha catalogato allarme
nazionale.
Al momento,
sembra che le tante notizie in merito non abbiano alcuna verifica, come anche,
però, nessuna smentita. Sono di quelle non provate, su cui mancano elementi
sufficienti per poterle inquadrare con certezza. Le fonti continuano ad essere troppo
fumose e resta difficile capire la verità, distinguere tra vero e verosimile,
tra certezza e dubbio e falsità.
Intanto,
andrebbe maggiormente indagato il perché nella fase adolescenziale - tra solitudine
e bullismo, tra partecipazione e dipendenza, c'è spesso un problema serio di
depressione che può portare anche a gesti estremi.
Ma anche cosa
potrebbe esserci dietro il terribile Blue Whale: dalle teorie complottiste al
guadagno per traffico visualizzazioni: più è virale e tenuta in vita la
possibile fake news sul gioco-suicidio, più si alimenta la curiosità, la
ricerca e il traffico on line che genera molti click. E si sa, traffico e
visualizzazioni vogliono dire soldi.
Al di là della
retorica e delle supposizioni, o di servizi shoccanti a tutti i costi, è
importante e prioritario ricordare che spacciare notizie non verificate come
buone e riportarle sui giornali rischia di fare danni ulteriori, perché lo
spirito d’emulazione dei ragazzi è forte e i casi potrebbero aumentare: se
questo gioco macabro non esistesse, inizierebbe ad esistere realmente e molti
giovani fragili e disagiati si sentirebbero "liberi" di togliersi la
vita.
Come avrebbe
candidamente ammesso ai professori, ai compagni di classe e alla polizia, quando
si è accasciata davanti a tutti, priva di forze, la ragazzina di 13 anni di
Pescara, arrivata a un soffio dalla sua purificazione finale, dopo aver
compiuto l’intero percorso delle cinquanta prove. L’hanno salvata le amiche che
sapevano del suo stato di depressione profonda
Sul suo
profilo, si è scoperto poi, aveva postato foto eloquenti, tra cui un volto
triste, affacciato sul vuoto e aveva anche programmato il suicidio finale. “Si,
è vero, ho partecipato al Blue Whale”.
Complimenti
anche alla famiglia.
(Alfredo Laurano)
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