Per quelli della mia generazione, la
promozione della “mitica” Spal in serie A, dopo quarantanove anni, è un
piacevole ritorno all’antico, un inedito tuffo nel passato e nella giovinezza,
nel segno di un calcio pulito e romantico che non c’è più.
E’ come aprire, con pudore e un po’ di
nostalgia, quel cassetto dei ricordi che custodisce momenti importanti e
formativi della storia di ciascuno, quando gli anni dell’adolescenza, delle
passioni e dello sport si sovrapponevano a quelli dello studio e dei sentimenti.
Pezzi di vita semplice e normale che costruivano un futuro di legittime speranze.
Erano i tempi che, all’oratorio, noi
ragazzi, tra un obbligatorio “Padre Nostro” e un maritozzo col formaggino di
cioccolato, imparavamo ad apprezzare lo sport come gioco e divertimento, ne
apprezzavamo la sua utilità sociale e scoprivamo i valori di lealtà e di
rispetto.
In quei campetti improvvisati e
polverosi, quasi tutti in terra battuta o pozzolana, si iniziavano a dare i
primi calci al pallone, la domenica mattina. I pali delle porte erano quadrati,
il pallone pesantissimo e non esistevano le docce.
Forse così, su un campo di periferia, nacque,
tanti anni prima, anche la storia della Società Polisportiva Ars et Labor, o
più semplicemente SPAL, fondata nel 1907.
Erano,
appunto, gli anni cinquanta e sessanta, i tempi della Spal, della Pro Vercelli,
della Triestina, del Lanerossi Vicenza e delle figurine dei famosi calciatori.
Quanti e importanti hanno militato nella squadra di Ferrara, per poi passare a
squadre più prestigiose: da Bugatti a Fontanesi, Da Zaglio a Carpanesi, da
Massei a Pandolfini, da Picchi a Capello, da Bigon a Reia, Del Neri e Malatrasi.
Dopo tante retrocessioni, promozioni e
fallimenti, alla corte estense oggi si fa festa.
La Polisportiva SPAL - protagonista di
tanti campionati italiani, nella prima metà del Novecento - si riappropria della sua fierezza storica e
sportiva, forte della bellezza senza tempo della sua città.
Bentornati
“spallini”, anche se ciò che vi aspetta è ben diverso da quel che avete
lasciato quarantanove anni fa. (Alfredo Laurano)
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