Quanto amore ieri in
quello stadio. Quanti diversi e contrastanti sentimenti hanno affollato e
toccato quegli spalti, già pieni di gente assai provata.
Quanta commozione,
quanta passione, quanta sofferenza hanno segnato quei volti senza età,
sopraffatti dal pianto e dal dolore.
Quante lacrime hanno
trasformato l’erboso Olimpico in una piscina, in un mare di emozioni che
potevano toccarsi, stringersi scambiarsi.
"Sei unico": era scritto su migliaia di magliette.
Qualcuno ha scritto: “Fiero di essere
vissuto ai tempi di Totti” o, addirittura, "Volevo morì prima!".
Quanti cartelli,
striscioni, slogan, numeri dieci, hanno colorato l’aria, lo sfondo e il colpo
d’occhio di quel teatro popolare e vero che si chiama stadio.
Forse perché non
siamo più abituati a tanto spettacolo genuino di umanità.
Il saluto a Totti è
stato un lungo e vibrante momento di partecipazione individuale e collettiva,
una manifestazione di amore intenso, reale e spontaneo. Un tributo
all’imperatore che ha fatto sognare più generazioni, con le sue gesta e i suoi
tanti momenti d’arte e di magia.
Ma tutto questo,
quasi a specchio, si è riprodotto nello stesso Cesare-Francesco di Porta
Metronia, emozionato come un principiante, che su quel campo è arrivato da
bambino, è cresciuto, si è fatto uomo e campione di sport e di vita.
Ha girato tutta la pista con la sua famiglia, ha salutato tutti i tifosi, uno a uno, e i suoi increduli e attoniti compagni.
Anche lui ha pianto,
insieme all’amico De Rossi che lo abbracciava e sosteneva, turbato e sconvolto
da tanta generosità e devozione.
Nonostante gli
evidenti sforzi, non è riuscito a trattenere le lacrime: i suoi occhi buoni
hanno tradito quel groviglio di pensieri che lo stavano opprimendo e consumando
e nemmeno la consueta sua ironia ha potuto dargli una mano.
Almeno in due
momenti, si è sentito solo e triste, in mezzo ai settantamila, quando si è
fermato a capo chino, per un po’, appoggiato a un cartellone e quando ha
cercato l’abbraccio di Ilary e dei suoi amati figli per farsi consolare.
“È un privilegio essere romani e romanisti, ma purtroppo è arrivato
quel momento che mai avrei voluto che arrivasse, in questi giorni ho pianto
sempre, da solo, come un matto” - ha detto nella sua lettera ai tifosi, che
con difficoltà è riuscito a leggere - e
ora dovrò affrontare nuove sfide. Vi ringrazio per tutto quello che mi avete
dato, in particolare tutti i bambini, di ieri e di oggi, che con me sono
cresciuti e hanno imparato ad amare lo sport. Una favola da raccontare, mi levo
la maglia per l’ultima volta, ma ho paura, ho bisogno di voi e del vostro calore:
aiutatemi. Vi amo”.
In quella cornice di
dimenticato romanticismo e di valori sani, si è scritta una straordinaria
pagina di partecipazione popolare, di orgoglio sportivo, di passione
collettiva, di affetti liberati e veri che hanno la forza di tramandare i miti
e raccontare la leggenda.
Si è scritta la
pagina dell'amore e della grande bellezza.
E anch’io ho pianto.
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