E’ un crimine davvero orrendo, qualcosa di
disumano che umilia il pensiero e sentimenti e rinnega la ragione. Dormivano in
tredici in quel camper nel parcheggio di un centro commerciale a Centocelle, a
Roma: padre, madre e ben 11 figli.
Poi, qualcuno nella notte - filmato da una
telecamera di sorveglianza - ha lanciato una molotov e tutto è stato avvolto
nel fuoco.
Elizabeth, Angelica e Francesca sono morte
bruciate: erano Rom e avevano soltanto quatto, otto e vent'anni.
La famiglia era originaria della Bosnia,
ma loro erano nate e cresciute in Italia. I genitori e gli altri otto fratelli
si sono salvati, cercando in tutti i modi di tirarle fuori prima che
arrivassero i vigili del fuoco, che hanno potuto solo spegnere il rogo.
Una fine orribile.
Secondo fonti investigative, sembra
esclusa al momento la pista dell'odio razziale e prevalere quella della
vendetta tra clan nomadi. “Chiunque sia
stato - dice il presidente Mattarella - quando
si arriva a uccidere i bambini si è al di sotto del genere umano”.
Dopo il rogo di innocenti, che non è certo
il primo, né sarà l’ultimo, non resta che la carcassa del furgone, qualche
mazzo di fiori lasciati sul posto per pietà, alcuni striscioni di sdegno e
solidarietà, qualche biglietto scritto a mano, con profonda commozione.
In altri casi simili - come quelli dei vari senzatetto
bruciati per gioco, per vendetta o per razzismo, o come quello di sei anni fa,
quando, sempre a Roma, Tor Fiscale, morirono quattro bambini in un rogo dentro
un campo Rom, provocato da una stufetta, o, ancora, come quello dei quattro
bambini di Livorno di una decina d’anni fa - la stessa commozione ha toccato e
indignato l’opinione pubblica.
Ma
nulla cambia e nulla è cambiato: certe vite umane sembrano ineluttabilmente
condannate dal sistema alla precarietà, ai margini del perimetro del controllo
sociale fondamentale che dovrebbe garantire tutti i cittadini, a stare
perennemente in bilico tra l’insicurezza e l’emarginazione, inseguite passo,
passo dalla falce della morte più assurda e imprevedibile e da un crudelissimo
destino.
Anche allora, corpi innocenti in fiamme,
cose, detriti, mucchi di polvere, resti di bambole sporche e passeggini
diventati reliquie.
Anche allora - ricorda Diego Petrini sul Fatto Quotidiano - Eva, Danciu,
Menji e Lenuca (dai quattro agli undici anni) dormivano sotto l’arcata di
un ponte della Variante Aurelia di Livorno e bruciarono vivi
Erano venuti dalla Romania per
stare in un posto così, che fa cento volte schifo: tra topi e piccioni, tra
prati incolti e una quattro corsie dove passano a cento all’ora, tra tir e
furgoni che vanno verso le periferie industriali, capannoni e parcheggi di
centri commerciali.
Era il 10 agosto, le stelle cadevano e i
desideri morivano.
L’unica
differenza è che il rogo di Livorno scoppiò per il degrado in cui vivevano
quelle famiglie, mentre l’incendio del camper a Roma è stato provocato da un
assassino.
Che sia un razzista o un altro rom non fa molta
differenza, se non per la polemica politica più bassa e volgare di chi, privo
di etica e di coscienza, sfrutta ogni occasione di cronaca per speculare e
acchiappare voti, anche insanguinati.
Come sempre, dopo la tragedia, sdegno,
sgomento e frasi di cordoglio sostituiscono il disprezzo e il pregiudizio.
Ricostruzioni, interviste e qualche inevitabile, scontata chiacchiera nei talk,
dalla D’Urso e da Bruno Vespa.
Ma è pur sempre una storia dolorosa di
persone che non hanno vantaggi o privilegi, non hanno garanzie sociali, non
hanno lo stesso diritto a vivere.
(Alfredo Laurano)
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