Non sapevo, non me l’aspettavo: anche Oliviero
Beha se n’è andato all’improvviso, dopo breve malattia, a sessantotto anni. Aveva,
da pochi giorni, ricordato e salutato, sulle pagine del Fatto Quotidiano, Boncompagni
e Valentino Parlato.
Libero, lucido, diretto, indipendente.
Mai banale, anzi stroncava la banalità dominante e appariva sempre, soprattutto
sullo schermo, come persona vera che interpretava la voce della libertà. Mai asservito
al potere ma, al contrario, sempre autentico, totalmente indipendente e a volte
scomodo.
Radio, TV, giornali,
libri, sempre nel segno di Zorro (suo programma, prima radiofonico, poi
televisivo), nel segno della denuncia, della critica feroce, della scomoda verità
e senza sconti per nessuno: nello sport, nel costume, nella politica, nella
società delle contraddizioni. Diceva spesso che il compito di un giornalista è
raccontare la verità perché è un diritto di chi legge sapere i fatti per poter
elaborare una propria opinione basata sul vero e non “indirizzata” o “deviata”.
L’ho conosciuto tanti anni fa nel corso
di una complicata intervista sul tema della pubblicità, fatta, in mezzo al
traffico, a piazza Venezia: attento, paziente, disponibile.
Poi, ci siamo incontrati a cena,
insieme all’amico Antonio, inventore creativo del relativo festival a suon di
spot con animali, per discutere il programma e i vari aspetti di quanto da lui
ideato.
Forse, la migliore descrizione di
Oliviero l’ha data una delle sue figlie, in un una lettera appena scritta per lui: carattere burrascoso, a volte
irriverente, spesso ironico, dispotico e a tratti per alcuni arrogante, è
stato, è, e rimarrà un giornalista libero. La “libertà è un lusso di pochi” mi
ripeteva…
E lui l’ha sempre cercata, perseguita e
rispettata. E oggi, raggiunta per sempre, anche se ha lasciato solo “suo nipote
nella giungla”.
(Alfredo Laurano)
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