A tre anni dai fatti e al di là delle reali
o possibili verità acquisite dall’inchiesta giudiziaria, la scoperta del
presunto assassino di Yara Gambirasio, avvenuta tramite il confronto del dna, pone
anche un problema di altra natura: quello del rispetto delle persone e della normale
convivenza e civiltà.
L'aver reso noti le identità, le facce, i
nomi e le storie intime di molti, del tutto estranei ai fatti, ma
indirettamente coinvolti per vincoli di parentela, è un abuso della
comunicazione mediatica, malata di scoop e di sensazionale scandalismo.
Immagini rubate, interviste forzate, deduzioni
semplicistiche, ricostruzioni e fantasie giornalistiche sono inaccettabili
forme di violazione del privato e della vita di uomini e donne: riflettono il degrado
morale e la profonda meschinità di un certo modo di intendere la cronaca e le
notizie.
Del fatto in se, si sa ben poco: che il dna
del Bossetti è stato trovato sul corpo della giovane vittima; che il presunto
omicida, attualmente in carcere, è ritenuto figlio illegittimo di tali Ester e Giuseppe
Guarinoni (l’amante defunto); che ha una sorella gemella; che ha un furgone
bianco; che ha frequentato quei luoghi e quei dintorni.
A parte, vi è, appunto, l’uso spregiudicato
delle notizie, delle chiacchiere e dei sospetti.
Per molti, a vario titolo indirettamente
coinvolti, è quindi sicuramente un incubo.
Come,
ad esempio, per Giovanni Bosetti, il marito di Ester, che all’improvviso, dopo
quarant’anni ha, o avrebbe, scoperto brutalmente di non essere più il vero
padre dell’accusato.
Non convince molto la scienza usata in
questo modo. Sono stati migliaia i dna prelevati e comparati per arrivare, si
dice con certezza, a “ignoto uno”, cioè al figlio segreto dell’autista morto
diversi anni fa.
La
cosa importante è definire il campo delle ipotesi, delle prove certe,
dell’indagine, i termini oggettivi e inoppugnabili che noi, pubblica opinione, in
effetti, non conosciamo affatto.
E se le prove scientifiche avessero una
partenza sbagliata? E se l’abbronzato muratore non c'entrasse niente? E se quel dna fosse arrivato sul corpo di
Yara per altre vie?
Colpevole o innocente che sia, il pensiero
va alla sua famiglia, alla moglie, ma
soprattutto ai figli: un vero dramma, comunque vada a finire.
Occorre
quindi molta attenzione, massima cautela e il dovuto rispetto per l’accusato e per
chi, del tutto innocente, è finito nel tritacarne mediatico, oggetto anche di pregiudizio
morale. Senza dimenticare, ovviamente, che tutto parte dal disgustoso omicidio
di una bambina.
La società odierna non rispetta molto i
valori acquisiti dalla società civile.
Non è giusto colpire, anche nell’ immagine,
oltre che nella sostanza, chi non ha commesso alcun tipo di reato, solo per costruire
un’ipotesi di verità, fondata sul gossip e sulla morbosità. Soprattutto, in una piccolissima comunità,
dove tutti si conoscono e sanno tutto di tutti, dove si vive di abitudini e
cadenze sempre uguali e quotidiane.
O farne,
more solito, oggetto di spettacolo di massa, rimandando ogni virgola, ogni
bisbiglio, ogni fotogramma di presunta cronaca nei gaudenti pomeriggi
televisivi, fra dirette ed esclusive. Anche se Barbara D’Urso è in ferie e,
certamente, rosica.
Dai contorni non troppo sfumati della vicenda
che appassiona, come una fiction, gli italiani, si ha l'impressione che tutto
sia possibile, come acquistare o vendere qualsiasi prodotto umano. Che la
giustizia e il potere immenso della comunicazione possano fare ciò che vogliono,
che il senso della libertà individuale non sia vero e garantito.
Anche
se la presunzione di innocenza, fino a dibattimento concluso, resta una delle
garanzie offerte dalla nostra Costituzione.
13 luglio 2014
(Alfredo Laurano)
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