Ricordo tutti gli spettacoli di Dario Fo e
Franca Rame che ho seguito al Teatro Tenda di piazza Mancini di Roma, negli
anni settanta.
Da “Mistero Buffo” recitato in “grammelot”-
un linguaggio eccezionale che si rifà alle invenzioni dei giullari e
alla Commedia dell'Arte, fatto di suoni che imitano il ritmo e
l'intonazione di dialetti padani e popolari - a “Morte accidentale di un
anarchico”, al “Fanfani rapito”, a “La signora è da buttare”, a “Settimo, non
rubare”, a “Pum pum! Chi è? La polizia”….
E ricordo, soprattutto, le sue spassose
improvvisazioni, i commenti caustici ai fatti del giorno, le parodie, le
battute che precedevano, di solito, la commedia. Uno spettacolo nello
spettacolo! Ogni volta entusiasmante!
In ogni opera, si coglieva la magia, la spontaneità,
la bravura imbarazzante, la vis comica innata, l’ironia pungente, la capacità
di coinvolgere gli spettatori e di farli sentire partecipi, amici e
protagonisti. Sotto il palco, ridevano e scherzavano con tutti, fra gli
abbracci.
I testi erano di satira politica e sociale per un teatro militante, critico e alternativo, anche nei luoghi in cui si realizzava: piazze, fabbriche, case del popolo e per un pubblico ben diverso da quello tipico dei teatri classici o borghesi.
Gli incassi servivano spesso per sostenere
la militanza in Soccorso Rosso, che aiutava, anche legalmente, i detenuti della
Sinistra extraparlamentare e controllava le loro precarie condizioni carcerarie.
Tutta l’opera di Fo è intrisa di valori sociali e
libertari, è anticonformista, anticlericale e fortemente critica nei confronti
delle istituzioni e della morale comune, sempre attraverso lo strumento della satira feroce che non
fa sconti. La sua costante opposizione a ogni forma di potere costituito ha
reso Fo, almeno fino al premio Nobel del 1997, un artista particolarmente "scomodo".
Non a caso, fu cacciato dalla Rai nel 1962 e poi dimenticato per parecchio
tempo.
In
molte farse, con o senza Franca, si è
preso gioco del mondo ecclesiastico che non l’ha mai molto amato.
E, invece, ieri sera all’Arena di Verona, a 88
anni, Dario Fo ha dato un’altra prova della sua inesauribile intelligenza
politica e artistica e del suo spessore umano:
"Vi dirò la verità, in un primo tempo
non pensavo di inserire Papa Bergoglio in questa rappresentazione con tanta
evidenza. Ma alcuni spietati commenti che ho sentito fare su di lui
recentemente da intellettuali con la “I maiuscola” mi hanno indignato
fortemente.
Notate
bene, è risaputo, io sono ateo, marxista, leninista e seguace di Darwin. E ora,
qui, mi trovo paradossalmente a difendere il rappresentante massimo della
chiesa cattolica, apostolica e romana nel mondo...''.
Il Papa e' vittima di un “linciaggio” perché
in piu' occasioni si è schierato contro il mondo degli affari e del business
internazionale, perché é contro le banche e i poteri forti, fanatici del
profitto a costo di far strage della dignità di chi arranca per sopravvivere. Per
questo, qualcuno lo definisce un ingranaggio della macchina del marketing, una
specie di fantoccio preconfezionato. Lo si vuole distruggere, perché è un uomo
che tenta di migliorare questo mondo".
Si, tutto questo e anche di più, con onestà
intellettuale, lo ha detto il laicissimo Dario Fo, l’impareggiabile buffone che
da sempre ha preso in giro Chiesa,
potere, papi, presidenti, politici e cardinali.
Bergoglio oggi dà fastidio.
Come dava fastidio Dario, fino
a qualche tempo fa.
2 giugno 2014 (Alfredo Laurano)
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