Lo dico subito: non voglio, non devo e non
mi interessa difendere il vecchio capo dello stato, anzi, avrei parecchie
critiche da muovergli, magari in altra sede.
Ma, le
“sconcertanti” rivelazioni di Alan Friedman, per gli amici “Ollio”, mi sembrano
banali e inconsistenti. Ha scoperto l’acqua calda, o meglio fresca, vista la
stagione di riferimento. Fumose, eteree e dal sapore assai pubblicitario…
In un libro di prossima uscita, il
giornalista americano Friedman pubblica delle interviste a Prodi e a De Benedetti, ribadite poi da Mario
Monti, che raccontano tranquillamente dei contatti fra Napolitano - che pubblicamente conferma, parlando anche di altre varie occasioni - e
l’ex Rettore della Bocconi, nell’estate del 2011, ben prima (tre, quattro mesi)
della sua nomina a presidente del Consiglio. Contatti finalizzati a verificare
la sua disponibilità ad impegnarsi nella formazione di un eventuale, futuro governo.
Era noto a tutti, se ne parlava in giro,
lo sapevo anch'io.
In
agosto, l’economista risponde su questo specifico tema addirittura al TG5. Dov’è
l’anomalia? Dice lo stesso Monti.
Sarà bene ricordare che in quel momento il
Paese viveva la crisi più profonda, in un contesto di precarietà, di incertezza
e di tensioni sociali. Tra le bocciature delle agenzie di rating, si consumava
quotidianamente la parabola dello spread, si temeva per i risparmi e le
pensioni, si paventava di fare la fine della Grecia.
L’Europa continuava a chiedere lacrime e
sangue, si diffondeva la paura di precipitare nel baratro e, soprattutto, non
se ne poteva più delle vicende sessuo-giudiziarie di Silvio Berlusconi e della
sua colpevole inerzia governativa.
Cosa
avrebbe dovuto fare il capo dello stato, di fronte alla evidenti e crescenti
difficoltà, se non sondare una possibile alternativa per risanare il Paese allo
sbando? Sarebbe stato accusato, quanto meno, di indifferenza e insensibilità
politica se non si fosse almeno preoccupato di quella drammatica situazione
economica e sociale.
Difficile cogliere la sorpresa nelle
ovvietà narrate da “Ollio” Friedman, che cerca forse pubblicità gratuita al suo
libro o intende offrire un’ulteriore sponda critica a chi vuole seppellire il
presidente. Dov’è il complotto, di cosa dovremmo stupirci?
Sembra
il solito uso strumentale e gratuito di fatti insignificanti e di parole vuote di
chi specula per obbligo di parte, ricamando l’arte del nulla e dell’irrilevanza.
A novembre, subito dopo la risicata
approvazione della legge di stabilità, arrivarono le dimissioni di Berlusconi,
la cui maggioranza di governo, dopo l’uscita di Fini, era ormai appesa al
sottile filo dei voti “responsabili” dei venduti Razzi e Scilipoti. Di fatto,
non esisteva più.
Da tempo si conoscevano, peraltro, anche i contrasti con la
Lega, con Tremonti e altri ministri.
A quel punto, in un clima di festeggiamenti
popolari, si apriva il dibattito sul dopo Silvio. Tre gli scenari
possibili: un nuovo governo di centrodestra con un altro premier
(magari Alfano?), un governo
tecnico o di larghe
intese, elezioni anticipate, seppure col porcellum.
Nelle consultazioni successive, si registrò
una larga convergenza sul nome di Mario Monti - già opzionato, appunto, nei
mesi precedenti come salvatore della patria - per formare un nuovo governo
tecnico.
Anche perchè, in quel frangente, sarebbe andato bene pure Pippo Franco
o Cicciolina, pur di togliersi dalle palle Silvio.
E così, col beneplacito del Pd che, per
alto senso di responsabilità (diceva Bersani) rinunciò ad andare al voto e a
vincere “facile” - come a tutti era evidente - Napolitano, anziché sciogliere
le Camere e mandare il Paese alle urne - “l’Italia non poteva dare un segnale
d’instabilità politica, i mercati non ci avrebbero perdonati”- fece nascere il
governo Monti.
Fra i
tanti “necessari sacrifici”, richiesti al popolo per non finire peggio, l’azione
di austerità - inizialmente quasi da tutti accettata, ma rivelatasi poi odiosa
e fallimentare - fu accompagnata da applausi
e consensi quando, in realtà, ci sarebbe stato ben poco da gioire: grandi rinunce, aggravio fiscale, nuove tasse,
anticipo dell’Imu, fregature varie su pensioni, esodati e sul lavoro e
la sudditanza alla “culona”Cancelliera, che correggeva i compitini.
Se si fosse, allora, andati a votare,
probabilmente oggi il cavaliere sarebbe del tutto fuori gara, non
perché condannato, ma perché sconfitto politicamente. Una condizione che
non gli avrebbe consentito, come leader in disuso, di trattare
con Renzi al tavolo delle riforme o di sperare addirittura
di tornare in auge e di giocarsi la partita elettorale.
Alla Santanchè, a chi
parla di teorie e di complotti e all’autore del fallito scoop, vorrei svelare - in via del tutto confidenziale - due “riservatissime”notizie:
-Berlusconi e il PDL hanno votato e sostenuto il governo
Monti;
-Berlusconi e il PDL hanno praticamente scelto e rivotato il
Napolitano bis.
Ma, forse, come accade quasi sempre, a loro insaputa.
Fate vobis e mettetevi
d’accordo.
11 febbraio 2014 (Alfredo Laurano)
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