E’ quanto meno
singolare, ma sarebbe meglio dire assurdo e paradossale, che la battaglia contro
il riscaldamento globale per salvare la Terra, anziché essere un dovere serio e
concreto della politica internazionale, debba essere condotta da una ragazzina
svedese di sedici anni (è nata nel 2003), dalle lunghe trecce bionde e grandi
occhi verdi, di nome Greta Thunberg.
Come
se la sua vicenda fosse un apologo moderno che premia, non solo allegoricamente,
il riscatto di una adolescente, già emarginata, aliena e sopraffatta dai
condizionamenti di una società egoista, malata e prepotente, indifferente alle
sorti dell’umanità.
E
sì, perché dovremmo essere noi adulti, che godiamo degli agi e dei vantaggi
immediati derivanti dallo sfruttamento e dalla distruzione della Terra, a
ribellarci, a organizzare uno sciopero generale, a bloccare l’infernale
macchina produttiva che getta nelle discariche 1,3 miliardi di tonnellate di
cibo l’anno, che rovescia nelle acque gli escrementi di 24 miliardi di animali
di allevamento, che riempie l’aria di CO2 e altri gas serra, che immette negli
spazi urbani milioni di auto in eccesso, che sta creando nel mondo montagne di
plastica, di scorie, di immondizia, di materiali non riciclabili e di rifiuti
tecnologici, per effetto dell’obsolescenza programmata.
Siamo
noi che continuiamo a vivere secondo lo stile consumistico che sta facendo
collassare il pianeta, lasciando in eredità ai giovani habitat devastati e
inospitali.
Invece,
lo fa la piccola Greta - 235mila followers su Twitter e oltre 270mila su
Facebook -diventata simbolo mondiale della protesta ambientalista, capace di
parlare direttamente ai Grandi della Terra.
A
dicembre scorso, alla Conferenza dell’Onu sul clima a Katowice, rimproverando i
leader mondiali di comportarsi come bambini irresponsabili, ha tranquillamente
detto: “Dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, invece gli state rubando
il futuro”.
Una
rivisitata “cappuccetto giallo” (come il suo impermeabile) che ha il viso
acerbo e corrucciato di una bambina e lo sguardo pensoso e triste di un’adulta.
Che non combatte il lupo cattivo come nelle favole, ma un nemico molto più
grande, più subdolo e cattivo per l’intera collettività.
Forse
è per questo che, nelle sua ormai ricorrenti immagini, nelle tantissime foto
che la ritraggono, non c’è traccia di serenità, di sorrisi spensierati, tipici
della sua età, ma, piuttosto, espressioni cupe e imbronciate, fronte aggrottata
e una seria fermezza negli occhi, quasi sconcertante quando la si osserva su un
volto pulito, così giovane, così inquieto e preoccupato.
Nonostante
i suoi sedici anni, negli ultimi mesi Greta ha dimostrato una rara
consapevolezza e determinazione: ogni venerdì, si reca davanti al Parlamento
nazionale di Svezia, con il suo cartello sottobraccio “Sciopero della scuola per il
clima”, e protesta silenziosa e in solitudine, settimana dopo settimana,
senza dare segni di stanchezza.
In
pochi mesi queste manifestazioni - con passaparola online e hashtags - sono diventate virali e condivise nel mondo, hanno
ispirato e prodotto movimenti studenteschi globali, a cui aderiscono non solo i
giovani, ma anche gli adulti, e fra questi oltre tremila scienziati.
Fino
ad arrivare a venerdì scorso, al “Global strike for future”, lo
sciopero mondiale (in 1600 città di 80 Paesi, oltre 150 solo in Italia), per
chiedere ai governi di attivare programmi convinti ed efficaci, di iniziare ad
utilizzare energia pulita e rinnovabile, di smettere di utilizzare i combustibili
fossili, di fermare il riscaldamento globale e impegnarsi per difendere
l’ambiente.
Un
grido disperato per scuotere le coscienze e mettere sotto accusa il mondo
politico, che si profila come una mobilitazione permanente, che chiama a
raccolta tutta una generazione, angosciata per il proprio futuro, che vede
nelle conseguenze dell’attuale modello economico e sociale il preludio di una
catastrofe annunciata.
“Ci
avete rotto i polmoni”. “Non abbiamo un pianeta B”, si
legge nei messaggi sui social network, sui diversi siti internet e sui
cartelli.
“Non
potete aspettare che cresciamo noi per salvare il mondo” è
l’appello della giovanissima svedese, che qualcuno ha definito “Star del clima”
e candidato al Nobel per la pace.
Mentre
altri illustri opinionisti nostrani, sprezzanti e gonfi di superbia, tipo Maria
Giovanna Maglie, dicono in radio: ''Greta Thunberg? Se non fosse malata la
metterei sotto con la macchina''
Questa
bestemmia squallida e oscurantista, mi induce a pensare come sarebbe andata la
storia di Greta, se fosse stata italiana e se la sua solitaria e caparbia
protesta non fosse avvenuta in Svezia, ma davanti a Montecitorio: l’avrebbero,
come minimo, derisa, sfottuta e sbeffeggiata, offesa ed umiliata, apostrofata
con battute misogine e sessiste, insultata e condannata, come nullafacente che
non ha voglia di studiare e si fa le canne.
Invece,
per fortuna, Greta è nata a Stoccolma ed è
stata la prima fiammella - dicono i suoi sostenitori - che ha incendiato la nostra generazione e ha fatto scioperare il mondo.
17
marzo 2019 (Alfredo Laurano)
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