A
una ridicola e vergognosa sentenza hanno fatto seguito ridicole e vergognose
motivazioni.
Motivazioni
che non motivano, che non spiegano, che nulla aggiungono, nulla giustificano,
nulla provano, oltre quel tutti sanno.
Se
appare evidente, a giudizio della Corte, l'assenza di dolo nell'esplosione del
colpo che ha ferito Marco Vannini, è altrettanto evidente la volontà di
ritardare i soccorsi, per biechi interessi personali, per non rischiare le
proprie sicurezze. Pur nella consapevolezza
della gravità della situazione, espressa anche dalle parole di Federico
Ciontoli, nella prima telefonata al 118. Quella scelta lucida di non
fare, tempestivamente, nulla, se non concordare scioccamente una versione
ufficiale dei fatti, ha aggravato le condizioni di Marco, fino a provocarne la
morte.
Per cui, come in tanti abbiamo più volte detto e scritto, fino alla
nausea, lo
sparo nell’eventuale bagno può essere stato, si, accidentale, cioè colposo, ma
la morte tre ore dopo del giovane Marco è stata invece, innegabilmente, causata
dal comportamento volontario e abietto del Ciontoli e del suo clan, che ha
anteposto e scelto di privilegiare la sua carriera, anziché vita di un ragazzo
di vent’anni. Logica dice, quindi, che il tipo di condanna avrebbe dovuto
essere correlato non allo sparo, ma a questo comportamento, imperdonabile e
reiterato, per cui sarebbe stata giusta una condanna per omicidio volontario,
come fu nella sentenza di primo grado (14 anni per omicidio volontario).
Gli
stessi giudici, peraltro, osservano che "Ciontoli ha consapevolmente e
reiteratamente evitato l'attivazione di immediati soccorsi per evitare
conseguenze dannose in ambito lavorativo. La sua condotta "appare
estremamente riprovevole sotto il profilo etico... ma il fatto di trovarsi alle
prese con un imputato la cui condotta è particolarmente odiosa non può di per
sé comportare che un fatto colposo diventi doloso. Nel rispetto del principio
del favor rei, che garantisce un’efficace tutela dell’imputato, dunque, la condotta di
Ciontoli va qualificata come sorretta da colpa cosciente".
I
familiari, sempre per la Corte "difettavano della piena conoscenza delle
circostanze... e proprio in considerazione della non provata consapevolezza
circa la natura del colpo esploso, delle rassicurazioni del Ciontoli e delle
caratteristiche della ferita, si deve ritenere non sufficientemente certo che
essi si siano rappresentati, con la lucidità e la nettezza del padre, la
possibilità dell'evento mortale".
Queste
motivazioni, così contradditorie e confuse, rendono ancor più fumoso e ambiguo
il quadro delle responsabilità, dipinto da vicenda allucinante, almeno quanto
il relativo incredibile processo e la sua sconcertante sentenza.
4
marzo 2019 (Alfredo Laurano)
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