A
un anno esatto della batosta elettorale del 4 marzo scorso, domani tornano i
gazebo del PD.
In tempi di crisi, di disaffezione, di
cosiddetta antipolitica e di forti rigurgiti reazionari, nonché di astensione e
qualunquismo, le Primarie del PD hanno (o avrebbero) lo scopo di risvegliare
molti animi sopiti, di far discutere la gente, di animare il dibattito e
produrre schieramenti e simpatie. In un modo o nell’altro, di suscitare
interesse, anche in chi non vota.
Ma che senso hanno ‘ste cacchio di primarie
dove, oltre i militanti, tutti possono scegliere il candidato da buttare
nell’agone elettorale: avversari, antagonisti, cinesi, rom e cani sciolti,
anche se non c’entrano niente con quel partito o manco lo conoscono?
Da sempre sostengo che il sistema apre a
chiunque la possibilità di decidere il segretario di uno schieramento - assolte
alcune semplici istruzioni e registrazioni - pur provenendo dall’area
contrapposta. Ciò può favorire strategie machiavelliche e opportunismi di bottega,
perché consente alle controparti, per esempio ed in teoria, di individuare e
scegliersi l’avversario più debole, o con meno appeal di un altro,
nell’elezione del premier alle successive politiche.
E’ un po’ come aprire le porte della città
protetta e fortificata al munifico cavallo dei Troiani.
Quindi, studenti e lavoratori fuorisede,
cittadini comunitari non italiani o extracomunitari (con permesso di soggiorno)
e chiunque, ben organizzato e con qualche pecunia in tasca - due euro e passa il dubbio e la paura - può
comprarsi qualche croce sulla scheda, può far vincere chi vuole, chi gli
conviene, chi è più debole sulla carta.
Berlusconi lo sa bene e le Primarie non l’ha
fatte mai: è un evasore, un puttaniere, mica un pirla!
Comunque,
la condizione del Pd
appare lontana dal cuore della battaglia politica o, semplicemente
dall’attualità, dominata dal dilagante salvinismo e dai quotidiani contrasti
del governo giallo-verde, anche se spera, dopo una incomprensibile, lunghissima
riflessione, di rinnovarsi e rifondarsi, anche grazie a queste salvifiche
Primarie.
Eliminati
gli altri candidati nelle fasi preliminari del congresso, sono rimasti in
lizza:
Roberto
Giachetti, il topo Gigio che rivendica con fervore la continuità con
l’indirizzo precedente, come se Renzi e il vecchio gruppo dirigente non
avessero sbagliato una mossa, e dunque non si sa cosa proponga di nuovo. “Non ho capito per quale motivo Giachetti –
afferma Cacciari – si sia dovuto presentare alle primarie. È evidente che, se
il Pd vuole suicidarsi il più presto possibile, si deve porre in continuità con
la gestione Renzi. Sembra che lo facciano apposta a farsi del male”.
Poi,
c’è Maurizio Martina, l’intraprendente boy scout con recente barbetta post
ideologica, che con più forza ha scelto di non caratterizzarsi in nessun senso,
proponendosi vagamente come il più “unitario”.
E
per finire, Nicola Zingaretti, dall’aria bonaria e pacioccona, che rivendica
con maggiore forza la discontinuità con il renzismo ed il passato - tutta però
da dimostrare - a parte le questioni di stile, di modi e di carattere. E’ il
fratello di Montalbano, ispira fiducia e, non a caso, potrebbe risolvere
l’enigma di un partito disastrato.
2
marzo 2019 (Alfredo Laurano)
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