Habemus governum, quindi e nonostante.
La
farsa si è conclusa. Prima di diventare comica tragedia, si è trasformata in una
commedia a lieto fine, non prima di aver fatto ridere, piangere e preoccupare mezza
Italia e mezzo mondo. Come nei romanzi popolari, nei poemi epici, nelle fiction
e nelle interminabili soap, non solo brasiliane.
In
questo caso, però, tutto è stato veloce come un lampo, si è consumato in un
sospiro.
In
poche ore, si è passati da “scherzi a
parte” a “c’è ancora posto per te”, a dimostrazione che politica, televisione,
cabaret e avanspettacolo rivisitato non sono facili da distinguere. L’audience
è schizzata al massimo e il popolo italiano, deluso ma affamato di governo, ancora
una volta, è stato deriso e vilipeso, anche, e come sempre, dall’Europa e dai Mercati.
“Agli italiani servono più
lavoro e meno corruzione e devono smettere di incolpare l'Ue per tutti i
problemi dell'Italia (Juncker) e devono pure imparare a votare: i mercati insegneranno loro a farlo
nella maniera giusta” (Oettinger), hanno detto nel bel mezzo di una crisi
politica, finanziaria ed istituzionale.
Più che al severo Quirinale, è sembrato
di stare al centro di una toccante “sceneggiata meroliana ‘n coppa o Vommero”,
dove una sgarrupata compagnia di mezzi attori dilettanti e amatoriali ha
improvvisato e recitato una parte che non conosceva, ma che ha fatto comunque ridere e chiagnere, come il genere
prevede:
“felicissima sera a tutti sti
signori incravattati…”
Al presidente instampellato Mattarella che
ha fatto un pentito passo indietro, dopo aver alzato per un attimo il
sopracciglio della reazione a una certa, presunta imposizione. E, forse, dopo
aver visto salire lo spread, i tassi sui mutui, calare le Borse e riflettuto
sulla lotteria del voto vacanziero. In troppi, solo per questo, lo hanno vergognosamente
offeso.
Al povero Giuseppe Conte che zitto, zitto
aveva fatto il suo passo indietro, rimettendo il mandato, per aprire la porta
al malcapitato e già pronto Carlo Cottarelli, con tanto di zaino e trolley al
seguito, a lungo parcheggiato nella sale accanto al presidente, in paziente attesa,
forse, ma non troppo, di presentare, come richiesto e all’occorrenza, un governicchio
tecnico, inutilmente marinaro, che non avrebbe votato manco la moglie e i suoi
prescelti. Anche lui ha dovuto fare lo stesso passo indietro, felice forse di fuggire
con il suo bagaglio, la sua precompilata lista di ministri e il suo temperato sorriso
da quella pericolosa gabbia delle parti. Ha suscitato, comunque, applausi e
molta tenerezza.
Lo ha fatto pure Paolo Savona, non
tollerato all’Economia, ma convinto - forse poco e non del tutto - ad accettare
altro ministero, meno pericoloso per la dittatura finanziaria della UE.
Lo ha fatto soprattutto anche lo
sconvolto e incazzatissimo Di Maio che - gli va riconosciuto - è l’unico che ne
ha fatto anche uno in avanti: si è tolto la cravatta d’ordinanza e, nel breve
volgere del giorno e della notte, è passato dal tricolore alle finestre, dalla
convocazione in piazza dei delusi, dall’impeachment al capo dello Stato alla
incredibile intuizione di suggerire allo stesso un banalissimo escamotage: un
cambio di casella per il sovversivo economista, un’astuta via di fuga, degna
del migliore Houdini.
Alle
sedici di oggi, anche lui con tutti gli altri giurerà.
Mentre tutti, con un pensiero rivolto
agli impassibili e provati corazzieri a guardia della porta dell’ufficialità
quirinalizia, si domandano: ma tutto ‘sto casino, ‘sto balletto, ‘sto gioco
dell’oca frustrata, ‘sta girandola di arrivi, di uscite, di notizie, di smentite
e indiscrezioni, ‘ste orde fameliche di cronisti a caccia di parlamentari peripatetici
e muti o che fingono di parlare al telefono, non si potevano scongiurare?
Non
si poteva evitare di far ridere mezzo mondo che poi, lo abbiamo visto, ci percula
alla grande e con piacere?
Quell’’uovo di Colombo-Gigino non si
poteva battere subito sul tavolo della logica e del buon senso, al momento del niet
categorico al povero Savona?
No,
perché la stampa estera non avrebbe conosciuto la spassosa filastrocca di Gigino e Gigetto che stanno sul tetto: vola
Gigino, vola Gigetto, torna Gigino, torna Gigetto.
1
giugno 2018 (Alfredo Laurano)
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