E’
sempre tempo di riti e di parate: storiche, sportive, marziali, politiche,
religiose e tradizionali. Tutte condotte con fierezza, con orgoglio e con
qualche rivolo eccessivo di fluttuante vanità.
Dopo
la rivista militare del due giugno, si è appena svolta a Roma quella del Gay
Pride, per la rivendicazione dei diritti delle persone Lgbt - lesbiche, gay,
bisessuali, transessuali, queer e intersessuali: come sempre, da una ventina
d’anni, un concentrato di allegria, provocazione e stravaganza, di musica e
colori, tra bandiere, striscioni, parrucche, piume, costumi, nudità e carri allegorici.
Al
centro dell’attenzione, non solo popolare, i valori di laicità, i diritti alla parità,
alla salute e alla libertà di tutti, per contribuire a cambiare radicalmente la
cultura omofoba, i pregiudizi morali e le discriminazioni sociali e di genere
del nostro castigato Paese.
Stavolta,
però, insieme alle chiappe al vento, alla sfilata dell’orgoglio gay di Roma c’erano
anche i fazzoletti rossi dei vecchi partigiani.
“Brigata Arcobaleno, la
liberazione continua”, questo il motto, con due testimonial
d'eccezione: i giovanissimi partigiani Tina Costa di 93 anni e Modesto di 92,
che hanno partecipato alla liberazione dell'Italia dal nazifascismo e che gli
organizzatori hanno convinto ad aprire il corteo, cui hanno aderito anche il
presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il Pd, LeU e Amnesty
International Italia.
Premesso
che l’articolo 3 della Costituzione recita che ognuno è libero di vivere la
propria vita come crede e che deve essere applicato a tutti, mi sembra che per
gridare libertà, diritti e giustizia contro ogni repressione, discriminazione e
fascismo, non sia politicamente e moralmente corretto sfruttare i nobili ideali
della Resistenza. Anche perché, come è noto, non risulta che i partigiani
abbiano combattuto per i diritti degli omosessuali (in verità, non potevano
proprio sopportarli), che andassero sui monti, canticchiando “bello ciao” e
sparando all' impazzata contro i nemici omofobi. Anzi, all’epoca, il Partito Comunista,
a cui quei partigiani facevano riferimento, li perseguitava e li espelleva.
Ma
sono dettagli, letture e preconcetti del passato, perché oggi, pur di
raggiungere il proprio scopo, si modificano i giudizi, si rivisita la Storia, se
ne racconta un’altra, si strumentalizza tutto: persone, simboli e ideali.
Dalla
gogna deviante di una diffusa e odiosa omofobia - da denunciare e reprimere sempre
e senza dubbio alcuno - si passa, con troppa insostenibile leggerezza, a
promuovere un’onda piena e straripante di omofilia, elevata a norma
comportamentale, a parametro di libertà e consenso, a standard di vita, a
canone etico. Grazie, anche e soprattutto, all’entusiasmo irrefrenabile dei
talk, del web e dei media televisivi che “rieducano” gli spettatori: perché gay
è bello, fa spettacolo, fa discutere, fa moda, fa tendenza, fa ascolti e genera
tanta pubblicità.
E
tutto si trasforma in una esagerata messa in scena, o messa in strada, fra
mito, leggenda, folclore e cultura dell’effimero, in un discutibile spettacolo
di attrazioni circensi di scarsa qualità, dove l’appariscente sfoggio di culi,
tette e di esibizionismo vario, si consacra in un folle, prosaico e caleidoscopico
carnevale casareccio.
Che
ricorda, vagamente, quello di Rio, ma senza la sua eleganza, la sua
fantasmagoria e senza nemmeno le Scuole di Samba o le universali Frecce Tricolori.
Ma con i poveri, ornamentali partigiani a dar valore aggiunto e senso della Storia. (Alfredo Laurano)
Ma con i poveri, ornamentali partigiani a dar valore aggiunto e senso della Storia. (Alfredo Laurano)
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