Viene da
Firenze l’ultimo tentativo di normalizzare il sistema massonico di selezione
delle cattedre negli atenei italiani.
Ma è solo un
caso, poteva succedere a Roma, a Napoli, a Bari, a Milano o in qualsiasi altra Università
di questo corrotto Paese. Troppi atenei, troppi baroni hanno il vizio di
sistemare i propri protetti e amici, lo sapevamo da sempre.
Il trucco si
ripete in tutti i settori accademici, in modo trasversale e in tutta la
filiera, del precariato della ricerca. Dall'accesso al dottorato fino
all'abilitazione nazionale e alla cattedra.
A mia figlia,
docente precaria da diciassette anni all’Università di Roma, è successa la
stessa cosa, qualche anno fa: “ottima
prova, la migliore senza dubbio, ma stavolta c’è già uno che DEVE vincere. Il
prossimo posto da associato sarà sicuramente tuo”, le dissero in
confidenza. Mentivano spudoratamente.
Le suggerii
anch’io di registrare i dialoghi in futuro, per denunciare, ma non ne fu
capace.
La meritocrazia
non conta, non è un valore, un riconoscimento. Essere il migliore può rivelarsi
non un pregio, ma un difetto da penalizzare. Almeno nel mondo alla rovescia
dell'università italiana.
Invece, il
ricercatore Philip Laroma Jezzi, proprio con il microfono, ha incastrato i
baroni che gli avevano “suggerito” di abbozzare e di ritirarsi: "Se fai ricorso addio carriera”.
Invece,
testardo, ha rifiutato di ritirarsi e ha mandato alla Finanza le registrazioni.
"Con che criterio sei stato escluso
dal concorso? Col vile criterio del commercio dei posti".
Il noto ex docente di diritto tributario Pasquale Russo, spiegava al ricercatore, che voleva diventare professore associato, come funzionavano le cose. Cercava di convincerlo a ritirarsi dalla corsa dell'abilitazione, perché i vincitori erano già stati decisi e far passare lui avrebbe potuto metterli in grossa difficoltà.
Il noto ex docente di diritto tributario Pasquale Russo, spiegava al ricercatore, che voleva diventare professore associato, come funzionavano le cose. Cercava di convincerlo a ritirarsi dalla corsa dell'abilitazione, perché i vincitori erano già stati decisi e far passare lui avrebbe potuto metterli in grossa difficoltà.
"Non è che tu non sei idoneo, è che
non rientri nel patto del mutuando".
Ma, l’illustre
accademico Russo, che sapeva bene chi avesse davanti - spiegherà, poi ad un
collega che "Laroma, come
intelligenza e laboriosità vale il doppio degli aspiranti associati che
partecipano alla selezione” - non
immaginava che, quel 21 marzo del 2013, chi stava ascoltando la sua lectio
magistralis sul mondo dei concorsi, dopo la riforma del 2010, avesse acceso il
registratore sul telefono.
Laroma Jezzi
non ritirò la domanda e a dicembre 2013 venne regolarmente bocciato.
Fece ricorso al
Tar e lo vinse. Ora è abilitato come associato.
Furono proprio
le parole memorizzate sul cellulare del candidato estromesso a far partire
l'inchiesta che ha travolto oggi un intero settore di Giurisprudenza.
59 indagati, 22
agli arresti domiciliari: era ora!
26 settembre
2017 (Alfredo Laurano)
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