ANTICHI EUGANEI (Atto primo: Monselice e il Catajo)
Dove si va? Mi chiede il navigatore, appena acceso in macchina.
Si va al nord-est, in comitiva, a visitare qualche città murata, qualche città gioiello e a navigare le acque, la storia e le bellezze del più grande lago italiano: il Garda, amatissimo dai tedeschi, forse per il suo tragico passato bellico.
Tutti gli altri partono in treno, noi con la nostra auto, la “quadra rossa”.
Le città murate italiane (come anche le tante nel mondo) sono quelle che hanno conservato, almeno in parte, la cerchia delle mura di difesa, costruita in epoca preistorica, etrusca, greca, romana, medioevale o rinascimentale. Ce ne sono in ogni regione, in ogni provincia: da Palmanova (Udine) a Monteriggioni (Siena), da Sabbioneta (Mantova) a Corinaldo (Ancona), a Glorenza (Bolzano), a Marostica, a Cittadella, a Lucca. Sono 363 quelle ufficialmente classificate.
Prima tappa e sede del soggiorno è Monselice, città murata del Sacro Monte Giubilare, nella bassa padovana. Nel XII secolo iniziò la costruzione delle mura a difesa della città, poi potenziate da Federico II di Svevia.
D’epoca romana e longobarda, “Mons Silicis”, dal nome della cava di pietra che riforniva prima l’Impero e poi la Serenissima, è una città ricca di storia, che conserva un paesaggio medioevale e rinascimentale. Su una collina c'è il rudere di un antico castello che sovrasta un panorama straordinario su un'ampia pianura, a una quarantina di chilometri da Venezia.
Numerose le testimonianze della città antica come la Loggia, la duecentesca Torre Civica, buoni tratti di mura, il museo di Ca’ Marcello (la famiglia veneziana a cui per ultima appartenne il castello), per continuare col Duomo di Santa Giustina (del XIII secolo), Villa Duodo, il santuario di San Giorgio, fino a culminare con la Rocca che tutto domina dal suo colle.
Celebre è poi la Giostra della Rocca, un palio organizzato ogni anno durante il quale le varie contrade (frazioni e quartieri) del Comune si sfidano in competizioni come il tiro con l'arco, il torneo di scacchi (gara finale con scacchi "viventi"), il torneo di musici (tamburini e chiarine), gli sbandieratori, la gara delle macine, la staffetta, la sfilata delle nove contrade con vestiti dell'epoca e la giostra equestre di precisione (la Quintana), dove il cavaliere deve infilzare con la lancia tre anelli di diverso diametro (il più piccolo è di 5 cm.) nel minor tempo possibile.
Il nostro B&B è molto comodo e centrale, è in un palazzetto silenzioso e pigro, a due piani, e offre stanze assai spaziose. A noi è stata riservata, casualmente, una specie di “piazza” da letto, da una cinquantina di metri quadri. Per andare in bagno si può quasi prendere l’autobus.
Dopo la sistemazione, senza alcun riposino, un veloce spuntino a base di cicchetti e prosecco millesimato all’Osteria Mazzini (accanto alla Torre Civica) e si parte per il vicinissimo Castello del Catajo, monumentale edificio di 350 stanze, considerato la reggia dei Colli Euganei.
Costruito a partire dal XVI secolo da Pio Enea Obizzi, presso Battaglia Terme (Padova), fu ampliato dalla stessa famiglia nel '600 e '700 e trasformato in seguito in reggia ducale dalla famiglia Asburgo-Este, arciduchi di Modena. Fu infine eletto residenza di villeggiatura imperiale degli Asburgo, imperatori d'Austria.
Cinte murarie, cortili, terrazze, fontane, torrette, logge, scale per cavalli, corridoi scavati nella roccia conducono al piano nobile dove, in un luminoso trionfo di luce e colori, si possono ammirare i quaranta riquadri affrescati di Gian Battista Zelotti, che raccontano la storia degli Obizzi, a cominciare dal loro albero genealogico.
Alle pareti delle altre stanze, ingentilite nei soffitti e nei sovrapporta, da varie allegorie, sono poi dipinte varie battaglie, terrestri e navali, le crociate, cui parteciparono i membri della famiglia, illustrate da didascalie in italiano e in latino. Sul soffitto sono anche rappresentate le tre forme di governo: la Democrazia (Roma), l'Aristocrazia" (Venezia), la Monarchia (la Religione Cattolica).
Il Catajo - il cui nome si ritiene non derivi da Catai (nome con cui veniva indicata la Cina nel Medioevo), ma piuttosto da "Ca' Tajo", cioè "tenuta del taglio", con riferimento allo scavo del Canale di Battaglia che tagliò a metà molti appezzamenti agricoli - nel corso dei secoli non è stato quindi un semplice castello, ma villa, palazzo ducale, dimora imperiale e imponente reggia, sede di sfarzose e memorabili feste.
Ancora oggi è di proprietà privata ed è aperto al pubblico con funzione museale o per ricevimenti.
Dopo la visita guidata al magnifico maniero, soddisfatta l’esigenza culturale e appagato lo spirito da tanta bellezza e storia - pur nella giornata grigia e piovigginosa - si è fatto il tempo per nutrir anche la pancia.
In gruppo, e con l’aggiunta di amici e parenti autoctoni, di rara simpatia e cortesia, invadiamo i tavoli e le cucine del Campiello, per una succulenta cena, annaffiata sempre dal pregevole prosecco, dentro, e dalla pioggia, fuori, sul canale che vien dal Bacchiglione.
Poi, finalmente, sotto l’ombrello e l’acqua monselicense, raggiungiamo l’agognata piazza da letto della nostra Ca’ Marcello (lo stesso nome del museo) e cadiamo, sfiniti, tra le braccia molli del veneto Morfeo. (Continua)
ANTICHI EUGANEI (Atto secondo: Este e Montagnana)
Nel nuovo giorno, mentre gli altri vanno in treno a Mantova, noi ci dirigiamo a Este e Montagnana, altre città murate venete, caratterizzate da comuni radici storiche, nel territorio compreso tra i Colli Euganei e l'Adige.
In breve raggiungiamo Este, passando davanti a Cà Mori, sede del Parco Regionale dei Colli Euganei. Entriamo (a piedi) nel centro storico dove si apre la vasta piazza Maggiore e si affacciano i palazzi più prestigiosi della città.
E’ giorno di mercato, tanta gente e tanti banchi sotto il cielo sempre grigio, ma numerosi gli scorci che meritano una sosta fotografica: la torre civica con l'orologio, le residenze signorili, i luoghi di culto e la possente cinta muraria (circa un chilometro) del Castello Carrarese.
Ampliato nel XII secolo dai marchesi d'Este, il castello marchionale raggiunse il massimo splendore con Azzo VI, che lo trasformò in un importante centro di cultura trobadorica. Poeti, artisti e giullari venivano ospitati nella sua corte, dove cantavano le lodi del marchese e della bellissima figlia Beatrice.
Le sorti del castello cambiarono repentinamente a causa delle violente guerre tra la fazione guelfa (cui facevano capo gli Estensi) e i ghibellini, che assediarono e danneggiarono più volte la fortificazione. Nel 1249 il castello venne distrutto da Ezzelino III da Romano, che provvide poi a restaurarlo, ma nel 1294 i padovani, ormai padroni incontrastati del territorio, lo demolirono nuovamente.
La configurazione attuale del castello risale al 1338, anno in cui Ubertino da Carrara, signore di Padova, decise di riedificarlo nelle forme che ancor oggi vediamo.
Nonostante i danneggiamenti subiti nel tempo conserva ancora la forma poligonale, il mastio e ben dodici torri. E' invece scomparso il corpo centrale del castello sostituito da un bellissimo parco pubblico.
Il nostro viaggio “indietro nel tempo” culmina a Montagnana, dove abbiamo forse il Medioevo meglio conservato di tutto il Veneto. Il colpo d’occhio dato dalle mura è impressionante.
Lungo il perimetro (2 chilometri) s’incontrano magnifici edifici: Porta Legnago (detta “Rocca degli Alberi”) del XIII secolo, con il portone in legno di rovere originale del tempo, e il Castello di San Zeno, oggi sede del Museo Civico.
Nel XIV secolo la città murata assunse l'impronta originale che possiamo ancora oggi ammirare.
La visita al centro storico permette di ammirare nobili dimore, tra cui villa Pisani, opera del Palladio, e il Duomo, dalla particolare forma ellittica e scrigno di opere d'arte - ospita due affreschi del Giorgione, la “Trasfigurazione” del Veronese e lo splendido altare maggiore, opera del Sansovino - la cui architettura complessa armonizza gli elementi gotici con quelli rinascimentali.
Irrinunciabile, per un turismo consapevole e anche gastronomicamente motivato, una sosta golosa nella storica Bottega Mantoan a fare incetta di prosciutto dolce di Montagnana, di soppressa vicentina, unita al morbido “schizzotto”, poi uno sfizioso pasto all’Osteria Due Spade, sotto i portici di via Carrarese.
Rientriamo a Ca’ Marcello e la sera, mentre continua la pioggerellina settembrina nella piana padovana, ci ritroviamo tutti a Pernumia - piccolo centro di epoca romana, a tre chilometri da Monselice, famosa per gli asparagi bianchi che, a contatto con la luce, diventano rosa e poi verdi, quando spuntano in superficie, e per la Festa della Rana.
Siamo tutti a cena dai parenti cortesi e affabili della nostra amica.
Festa grande, ospitalità squisita e vino a volontà, mentre la mia Roma - la vedo, da solo, in TV - liquida il Verona nel lontano Olimpico.
Ora, a nanna, domani ci aspetta il Garda. E ancora piove. (Continua)
ANTICHI EUGANEI (Atto terzo: il Garda)
Arriva il giorno della gita sul Garda.
Il pullman ci raccoglie alle 6,45 nei pressi del B&B e, dopo un paio di altri punti di raccolta, si dirige comodo verso la meta lacustre. Come sempre, ci fa compagnia una pioggia lieve e fastidiosa.
Una breve sosta in autogrill, dove incontriamo tanti altri pullman pieni di leghisti in verde, che vanno a Pontida a omaggiare il loro leader e i loro sogni padan-secessionisti. Felpe verdi, costumi barbari, bandiere crociate, caffè e soste tecniche, per rilasciare le proprie fresche e distillate acque sul sacro Po o nel soave Adige.
Giunti a Sirmione, incontriamo la nostra bella e brava guida Chiara che ci accompagnerà per tutta la giornata e ci illustrerà i luoghi, le bellezze, le leggende, la storia e le tante curiosità di quel magico bacino d’acqua dolce.
Dal parcheggio, raggiungiamo il centro storico della città cantata e abitata da Catullo (ci sono i resti della sua villa romana), conserva una struttura urbanistica medioevale, con strade strette e irregolari.
Il maestoso Castello, all’ingresso, è una rocca di epoca scaligera.
Si tratta di uno fra i più completi e meglio conservati castelli d'Italia, oltre che raro esempio di fortificazione lacustre, in posizione strategica e bagnato su tutti i lati dalle acque del lago di Garda. La sua costruzione ebbe inizio intorno alla metà del XIII secolo, probabilmente sui resti di una fortificazione romana.
Intanto, all’improvviso, spunta un magnifico sole che cancella il grigio di quel cielo e tutto cambia, assume nuove dimensioni e satura i colori: cose, pietre, profili, acqua e panorami assorbono ricchezza e intensità da quella nuova luce.
Dopo la visita alla città vecchia, piena di turisti, di hotel, di ristoranti e di troppe gelaterie - l’unico forno che c’era - ci racconta Chiara - ha chiuso, da tempo - procediamo all’imbarco,
mentre osserviamo un gruppo di giovani giapponesi che mangiano aragosta e spaghetti, alle dieci di mattina. E ci sovvien Catullo:
mentre osserviamo un gruppo di giovani giapponesi che mangiano aragosta e spaghetti, alle dieci di mattina. E ci sovvien Catullo:
“Delle isole e penisole gioiello, o Sirmione, di quante ne sostiene, tra laghi risplendenti e mare aperto, l’uno e l’altro Nettuno, con che voglia, con che gioia e piacere ti rivedo!...”
Arriviamo, sempre in battello, e visitiamo Salò, una delle molte perle del Garda, conosciuta per la sua storia.
E’ una cittadina di 10.000 abitanti che ogni anno riesce a conquistare molti turisti e visitatori che vogliono scoprire quella che fu la sede della Repubblica Sociale Italiana.
Per venti mesi, dal settembre 1943 all’aprile 1945 Salò, capitale del Garda, assunse anche il rango di capitale di un’Italia divisa in due, con al nord la RSI di Mussolini e al Sud lo stato monarchico di Vittorio Emanuele III e Badoglio.
La battaglia per la pace diventa perciò la battaglia contro il fascismo.
La guerra per la liberazione del paese dal nazista occupante diventa guerra contro i suoi fiancheggiatori e, quindi, guerra civile. E il luogo dove questa più ferocemente si esercita è proprio il Nord Italia.
Dopo la caduta del Fascismo del 25 luglio, Mussolini viene arrestato e portato sul Gran Sasso, da dove viene liberato il 12 settembre dai paracadutisti delle SS, cioè 4 giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre.
Il 23 settembre del 1943 Salò, il piccolo paese sulla sponda occidentale del lago di Garda, in provincia di Brescia, divenne famoso in tutto il mondo. Benito Mussolini, appena liberato dalla sua prigione a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, durante l’invasione degli inglesi e degli americani, lo scelse come sede del suo nuovo governo.
Il lungolago di Salò conduce fino alla piazza della Vittoria dove si può ammirare anche il palazzo della Magnifica Patria di Jacopo Sansovino. All’epoca, in collegamento con l’agenzia di stampa, era la sede dell’ufficio interpreti per la traduzione dei comunicati esteri. Il Palazzo della Croce Rossa, era invece sede del Minculpop (Ministero della Cultura Popolare), fucina della propaganda. Il capo di Gabinetto era Giorgio Almirante allora trentenne.
L’aspetto più affascinante del lungolago Zanardelli sono le 20 targhe che si trovano durante il percorso e che raccontano la storia e l’origine del nome delle contrade del paese.
Ammirate le bellezze del Duomo, si passeggia nel centro storico di Salò: un fitta rete di strade, vicoli e piazzette, di eleganti negozi, ristoranti, alberghi e dimore signorili - già requisite a suo tempo dai fascisti e trasformate in altri ministeri e centri di comando. La vecchia Casa del Fascio (ex Albergo Italia), da cui due grossi e potenti altoparlanti trasmettevano ogni sera il bollettino ufficiale di guerra, che si doveva ascoltare sull’attenti e a capo scoperto, oggi è una caffetteria.
Da Salò a Gardone Riviera, una delle principali località turistiche del Lago di Garda, caratterizzata dalla sua tipicità "mitteleuropea", famosa per i suoi esclusivi palazzi e hotel per soli ricchi e, soprattutto per il Vittoriale degli Italiani: un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all'aperto, musei, stanze piene di oggetti, giardini e corsi d'acqua, eretto tra il 1921 e il 1938 sulla sponda bresciana del lago, da Gabriele d'Annunzio, su progetto dell'architetto Giancarlo Maroni, a memoria della "vita inimitabile" del poeta-soldato e delle imprese degli italiani. Fu dimora degli ultimi sedici anni della sua esistenza.
Attualmente è una fondazione aperta al pubblico e moltissimo visitata.
“La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua…” Così scriveva negli ultimi giorni della sua vita, rinchiuso nella sua prigione dorata e nella penombra sepolcrale della sua villa incantata.
Cosa rimane della vita d’un artista mosso dalla passione, travolto dalla fiumana della voluttà, sospinto dalla scintilla di genio battagliero?”
Quarta e ultima tappa a Garda, sulla costa veronese del lago, anticamente conosciuto come Benàcus o Benàco.
Il paese sorge al centro dell'omonimo golfo, che in parte si allunga fino a formare una piccola penisola, che comprende Punta San Vigilio e la Baia delle Sirene.
Garda è l'evoluzione della voce longobarda “warda”, ovvero guardia, luogo elevato atto ad osservazioni militari, un'evidente allusione alla fortezza eretta contemporaneamente alle prime invasioni barbariche sulla Rocca di Garda, la collina che sovrasta il paese dove vi era la presenza di un castello.
Anche qui, sul lungolago, ville e palazzi e tanta gente che passeggia tra i vicoli e i souvenir o sorseggia aperitivi nei numerosi bar.
Ci si imbarca per il ritorno a Sirmione, salutiamo e ringraziamo Chiara, risaliamo sul pullman e alle 21 siamo di nuovo al nostro B&B di Monselice, non prima di aver fatto una cenetta all’Osteria Mazzini. Il gruppo, più affamato, cena al Campiello. (Continua)
(ATTO QUARTO: Il Palladio, il baccalà, la ripartenza)
Il gruppo dei gitanti oggi si divide: noi, con Carla e la Ginetta, siamo ospiti del Palladio nella sua splendida Vicenza, gli altri decidono per Montagnana, pioggia permettendo.
Appena giunti e parcheggiati nel capoluogo berico, dal ponte Furo, sul fiume Retrone - fra i cui argini e il verde delle sponde, s’incunea sullo sfondo la Basilica Palladiana e la Torre Civica - ci tuffiamo subito nelle atmosfere del Cinquecento, il secolo del grande architetto tardo-rinascimentale Andrea Palladio.
Giunto giovane a Vicenza dalla nativa Padova e preso a cuore dal mecenate vicentino Gian Giorgio Trissino, che lo fece studiare, si rivelò presto come una delle personalità più influenti nella storia dell'architettura occidentale: le numerose famiglie nobili vicentine gli commissionarono numerosi palazzi in città, nonché altrettante ville, che ridisegnarono completamente la scenografia della città.
Nella centrale Piazza dei Signori, il Palazzo della Ragione, già in epoca comunale e nel Medioevo, era l'edificio adibito allo svolgimento della pubblica amministrazione della vita cittadina. E’ noto come Basilica Palladiana, perché Andrea di Pietro della Gondola lo riprogettò, aggiungendo alla preesistente costruzione gotica le celebri logge in marmo bianco a serliane, dove veniva amministrata la giustizia. Di fronte, realizzò la Loggia (o palazzo) del Capitanio, sede del rappresentante della Repubblica di Venezia.
Nella grande piazza, di forma rettangolare, si collocano anche la Torre civica Bissara, con i suoi 82 metri di altezza, il Palazzo del Monte di Pietà con la Chiesa di San Vincenzo e le due colonne, una con il Leone di San Marco e l'altra con la statua del Redentore.
E’ in corso, attualmente, il posizionamento de “La Rua” (ruota), una grande struttura lignea introdotta nel 1441 e fatta sfilare alla processione del Corpus Domini.
Il nome dell'intera macchina scenica, ora riprodotta, deriva proprio dalla presenza di una grande ruota girevole incastonata nel centro della struttura e che rappresentava la rotazione quadrimestrale nell'espletamento delle cariche all'interno del potente collegio dei notai.
Su piazza Matteotti, si affacciano altri due capolavori palladiani: Palazzo Chiericati, sede della Pinacoteca civica, e il Teatro Olimpico, opera tra le più suggestive del genio palladiano, chiaramente ispirata ai modelli dell'arte classica.
E’ il più antico teatro coperto in muratura al mondo e gli sfarzosi interni sono realizzati con materiali poveri in legno, stucco e gesso.
Tra tutte queste meraviglie, rapiti da tanta bellezza ed emozione, ci sta venendo un buco alle falde del piloro: forse è un collaterale effetto della sindrome di Stendhal.
Non ci resta che prendere la macchina e raggiungere Sandrigo, a sedici chilometri, per degustare del fantastico baccalà: qui, all’Antica trattoria Due Spade è proprio speciale.
Lo assaggiamo in tutte le sue sfumature, sapide, suadenti e delicate: mantecato sui crostini caldi, con la polenta, con i bigoli, nel risotto, alla vicentina, fritto a bocconcini e perfino nello stravagante dessert, come semifreddo alla crema chantilly e suaetto, fra i dolci ricami sul piatto di vetro.
Un trionfo di sapori, bagnato da un buon prosecco col quale pasteggiare a tutto pranzo e una morbida grappa finale, che ognuno può "spillare" direttamente da una botte in bellavista, in una sala imbandierata per la festa con i produttori Norvegesi, e tanti stoccafissi appesi, accanto ai lampadari.
E tempo di rientrare. Stasera, tutti a casa della dolce Roberta, della vivace Anna, del cordiale Giorgio e parenti annessi - Silvana, la nobile patriarca di Pernumia, Paolo (in versione Oktoberfest), Fiorella, Marisa, Marco e Marco bis - che ormai ci hanno adottato con affetto, sempre nella terra ospitale di Pernumia.
Che fatica essere umani e subire i sentimenti, che bello stare insieme!
Anche se ancora piove.
E venne l’ora dei saluti, delle promesse e degli arrivederci, dei grazie che tramutano gli abbracci in semplici parole.
Si riparte la mattina dopo, sempre sotto l’acqua, che accentua la tristezza, ma non diluisce un po’ di malinconia. Anche perché viaggiando si scopre, si conosce, si studia, si ama, si impara, si cresce, senza invecchiare mai…dentro.
Gli altri amici tornano in treno nel primo pomeriggio, noi con la “quadra rossa”, alle sette siamo già in marcia verso Bologna, avendo previsto una lunga deviazione per la cantina di Arceto, a due passi da Scandiano e Reggio Emilia.
La pioggia si fa intensa e il traffico emiliano è una sventura, soprattutto dell’altro senso di marcia. E non si arriva mai!
Anzi, si, siamo arrivati a destinazione: ecco la cantina, avvolta in solitudine e silenzio: qui il vino, dopo la spremitura e la fermentazione dell’uva, riposa e matura, senza sforzo e senza stress.
Ci riforniamo di Lambrusco, dopo tanto Prosecco euganeo, e mangiamo egregiamente in una buona trattoria di Serravalle, frequentata da camionisti e lavoratori, spendendo meno di una pizza (22 euro in due!).
Ci spiace ripartire, rimetterci in macchina per fare altri 460 chilometri, con un quarto di fresco, spumeggiante Grasparossa nel palato e con la testa già piena di ricordi. (fine)
22 settembre 2017 (Alfredo Laurano)
Nessun commento:
Posta un commento