Da una parte, un milione di persone che
protestano a S. Giovanni a Roma, dall’altra, cinquanta tavoli tematici (fisco, scuola,
giustizia, trasporti) che pensano, studiano, discutono, immersi nel brain
storming alla Ribollita, alla Leopolda di Firenze.
Proprio come avviene nelle
agenzie pubblicitarie, dove efficientissimi Creativi inventano gli spot e la pubblicità.
Nella piazza, l’Italia vera, popolare e
quotidiana, unita da un comune sentire, dal disagio, dalla precarietà, dall’insicurezza.
Quell’Italia sofferente, avvilita da un’idea vaga e vacillante del concetto di lavoro
e che esprime una crescente rabbia sociale che nessuno vuole più ascoltare. Che
rappresenta realtà molto variegate, che non vuole annunci e promesse di futuro,
ma lavoro e occupazione. Che cerca di difendere diritti e conquiste sindacali.
Nella stazione fiorentina, invece,
l’intellighenzia del nuovo Paese del renzismo, il pensatoio, il decisionismo e
i programmi di chi vuol tutto rottamare, a cominciare da ciò che resta di uno
storico partito e dal confronto fra le sue anime diverse.
Qualcuna, infatti, è
nelle strade con la Fiom e la Cgil, con Landini, la Camusso e le bandiere rosse.
Perché “il futuro è solo l’inizio”, recita
l’ermetico, ma intrigante slogan della Convention. Un sottile calembour che ha
lo scopo di stupire, come i tanti e continui giochetti di parole, così cari al
novello puffo fiorentino, che qualcuno, bontà sua, spiegherà, prima o poi,
anche al rozzo popolo ignorante.
Nel laboratorio d’avanguardia futurista della
Leopolda infuria una fumosa tempesta di cervelli, in rigorose maniche di
camicie bianche. Si rinnovano simboli e scenografie, come si fa a teatro: biciclette
capovolte, lavagne, televisori anni ’50, salvagenti e il garage come luogo d’eccellenza
di idee e di proposte.
Tra i tavoli tondi - che qualcuno ha visto
come quelli di una sala Bingo o di una cena elettorale americana per respirare
l’aria del candidato - si insegue una ricercata concretezza, rispetto alla
teoria. Si sceglie l’effluvio di parole e di comunicazione, si privilegia l’età
e il carisma giovanilistico, a prescindere: conta l’anagrafe e l’entusiasmo,
non le competenze, i meriti e i principi.
Urge lo sdoganamento di un’idea “antiquata”
della sinistra verso nuovi lidi pragmatici e ultramoderni: un modello di
leadership, senza bandiere e tradizioni, buono per tutte le stagioni, che
guarda a Destra, al Mercato, al neoliberismo, ma non ai lavoratori.
Una prova?
Uno dei tanti amici del premier, il
finanziere d’assalto Davide Serra, si fa protagonista di una sparata sull'inutilità
e i costi dello sciopero: “E’ giusto limitare il diritto di sciopero fra i
lavoratori pubblici”.
Alla convention che glorifica il renzismo, non
solo amici, cortigiani e ancelle fedelissime, ma anche ex avversari politici, riciclati e
nuovi apostoli, fulminati sulla strada di Damasco Fiorentino e soprattutto le
personalità dell'alta finanza del Paese.
Tutti a sostenere un altro uomo forte, ambizioso
e spregiudicato, che incarna, nel bene o nel male, il simbolo della frattura
fra questo modo di intendere la politica e le attese di larga parte del mondo
del lavoro: una perfetta dimostrazione dell’impronta neo- berlusconiana che investe
il Paese reale e il nuovo Pd.
Le piazze della sinistra? Un’illusione ottica.
Ha detto con rinnovato stile la Moretti.
Un milione di persone in corteo a S. Giovanni:
un’illusione ottica!
In quest’Italia dei selfie e dei proclami,
non c’è più posto, né attenzione, né rispetto, per le piazze che contestano.
Non si vedono più, nemmeno con gli occhiali o i laser ad eccimeri della
chirurgia refrattiva.
Ma dietro
ogni bandiera c’è una persona, con una storia personale che non si può
ignorare, nemmeno alla stazione del futuro.
26
ottobre 2014 (Alfredo Laurano)
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