Il
palazzo azzurrino della discordia è ormai vuoto. Gli ultimi Rom sono stati
portati via con il solito pulmino che li ha prelevati a tappe e di fronte al
cancello sbarrato restano una panchina e quattro sedie in legno: le postazioni
dei residenti di Torre Maura per vigilare e assistere alle operazioni di
trasferimento.
Sono
gli ultimi atti di una protesta in strada, nata quando, una settimana fa, il
Comune aveva portato lì settantasette Rom, del tutto indesiderati.
“Abbiamo difeso il nostro
quartiere, dicono alcuni residenti, Ma ora, così come ci siamo ribellati noi,
lo faranno anche altri, in altre zone”.
Sgombrare
e abolire i campi Rom, veri ghetti dell’emarginazione dell’era contemporanea,
per integrarli nella comunità è un’operazione non certo facile e naturale.
Si,
perché nessuno vuole averli come vicini, nessuno vuol subire i loro furti,
assistere allo spargimento dei rifiuti a cielo aperto, ai roghi per bruciare il
rame e i rifiuti. Nessuno ama i loro mercatini abusivi e illegali di cose
rubate. Nessuno vuol vederli usare i neonati e i bambini per elemosinare e
rubare, sfruttando in modo ignobile anche i disabili e i mutilati che lasciano
agli angoli delle strade. Pratiche barbare, incivili e disumane che nessuna
legge, nessuna magistratura riesce a debellare, tollerando senza intervenire
mai!
La
storia degli zingari insegna che questa etnia non ha alcun rispetto per nessun
genere di ordinamento, regolamento e legge, che per ottenere i propri scopi usa
ogni mezzo, che la menzogna fa parte della loro cultura, che è restia ad ogni
sorta di integrazione in una società civile, che sa scegliere come recitare
ogni commedia, come colpire le nostre coscienze. Ma chiuderli nei ghetti è
comunque peggio, perché si isolano, diventano setta, aumentano l’ostilità verso
un mondo nemico e lontano che non è loro.
Tutto
ciò premesso e considerato, in questi giorni, in quella periferia romana, si è
consumata un’altra fitta dose di intolleranza e discriminazione.
Gruppi
politici come Casa Pound e Forza Nuova hanno soffiato sul quel fuoco antico,
hanno cavalcato la protesta popolare, hanno aizzato gli animi (“bruciateli vivi”), sventolando
tricolori e bandiere con croci celtiche, oltre ai soliti saluti romani, ai
ritriti slogan e all'inno di ordinanza.
Ma
si è compiuto anche l’abominevole e sacrilego atto di calpestare il pane che è
la sopravvivenza dei poveri: se si nega il pane ai poveri, si nega loro la
vita.
Una
specie di vaiassa, indemoniata e urlante (fateli
morì de fame!), ha dato il via alla profanazione che si è ripetuta, in
parte, anche quando alcuni cittadini hanno riportato, simbolicamente, altro
pane per recuperare a quell’infame l’oltraggio.
E,
mentre quella settantina di reclusi restavano impauriti dietro le finestre,
ostaggi della folla inferocita, senza poter uscire nemmeno nel cortile, un
ragazzo quindicenne, solo contro tutti, ha dato prova di possedere, oltre al
coraggio, intelligenza ed equilibrio, confrontandosi con alcuni militanti di
Casapound e spiegando come, a suo parere, non sia giusto convogliare la rabbia
e la frustrazione dei romani dimenticati contro una minoranza debole,
altrettanto dimenticata, in cambio magari di una manciata di voti: “a me,
non me sta bene che no”.
Le
sue parole, come sempre accade in questi casi, sono diventate video e vignette,
sono state pubblicate sui social, commentate e condivise da migliaia di
persone.
Tanto
di cappello, di rispetto e ammirazione per Simone ma, per favore, non
sfruttiamo la sua spontaneità, non strumentalizziamolo, non facciamone un eroe
o un paladino di parte, come appunto vuole la prassi mediatica e del Web.
6
aprile 2019 (Alfredo Laurano)
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