Si
sta diffondendo la rivolta del sacchetto: dall' inizio dell'anno, appena
cominciato, le bustine biodegradabili per frutta e verdura, nei supermercati,
si pagano due-quattro centesimi l’una, per ogni singolo prodotto a peso. E ciò
per molti è intollerabile, al di là di ogni possibile considerazione
ambientale.
Fino
a ieri i centesimi non valevano nulla, anzi si proponeva di toglierli dalla
circolazione: c’è chi non si è mai chinato per raccoglierli da terra. Oggi
invece è diventata una questione nazionale.
Già
ci fanno pagare le buste della spesa generale, col marchio del rivenditore, ben
15 centesimi (e questa è sacrosanta osservazione), ora pure queste per mele,
pere e insalatina! – dicono i consumatori “incavolati”, tanto per restare
nell’agro-alimentare.
Ma,
facendo due semplici conti e grande spesa tutti i mesi e ogni settimana, i
sacchetti bio a pagamento costeranno agli italiani, al massimo, una quindicina
di euro all’anno.
Eppure,
la novità sta suscitando nei cittadini grande indignazione, un po’ voluta, un
po’ montata, un po’ insensata, un po’ di circostanza. Cresce una polemica
umorale e parolaia fatta di commenti, slogan, battute e accuse fantasmagoriche,
che si rincorrono sul web. Anche se nessuno rinuncia ai propri vizi, alle mode,
al gioco, agli ultimi, costosissimi gadget tecnologici. Lì non si risparmia, non
si critica, non ci si ribella, non si grida “al ladro, al ladro”.
Ma
qualcuno si è accorto che dalla stessa data sono scattati, silenziosamente, una
serie di aumenti di ben altra portata?
Gas
e luce sono rincarati di oltre il 5% e i pedaggi autostradali del 2,7%, a cui
seguiranno, pare, anche aumenti su acqua, metano, RC auto, Tari, tariffe
professionali e ticket sanitari.
Quella
sulla “tassa” sui sacchetti è, quindi, solo una scaramuccia social per
rivoluzionari stanchi da tastiera, un elemento di distrazione di massa,
l’esempio più populista e canzonatorio che, come la punta dell’iceberg, distoglie
l’attenzione e non fa emergere la serie dei veri costi che incideranno sul
budget delle famiglie italiane.
È
da una settimana che si grida allo scandalo e che si suggeriscono soluzioni
cervellotiche per non pagare quegli impopolari sacchetti della discordia: boicottiamo
i supermercati, etichettiamo con peso e prezzo ogni zucchina, ogni patata, ogni
acino di uva, torniamo dal fruttarolo contadino o di mercato.
Ma,
soprattutto, mettiamo da parte quei due decisivissimi centesimi per il prossimo
IPhone da 1.300 euro.
8
gennaio 2017 (Alfredo Laurano)
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