Quanti nuovi fronti caldi si sono aperti e si aprono nell’esodo
dei migranti: da Lampedusa alle coste siciliane, della Calabria e della Puglia.
Da Mentone a Calais per all’Euro tunnel della Manica, dalle isole greche alla
Turchia, alla Macedonia, all’Ungheria, all’Austria e alla Germania. Per mare,
per terra, per la rotta dei Balcani, su camion, barchette, barconi o a piedi,
lungo i binari.
O segregati nei Centri, o ammassati nelle stazioni, prigionieri
delle autorità. Solo volontari e comuni cittadini, anche nella inflessibile Ungheria,
offrono aiuti e solidarietà.
Ciò dà una’ idea della dimensione e del significato della
catastrofe umanitaria di milioni di profughi siriani, afgani, iracheni,
pakistani, africani che si consuma tutti giorni.
Fuggono dalla guerra e dalla morte quasi certa, da Boko Haram,
dall'Isis o semplicemente alla fame per trovare ostilità, violenza, rifiuti,
respingimenti e altra morte. E pensare che fino a poco tempo fa, molti “acuti osservatori
e lungimiranti” si ostinavano a definirla “un problema di ordine pubblico”.
Lutto globale nella coscienza
collettiva e simbolo di una tragedia che accusa l’Europa e il mondo intero è
diventata quella foto di Aylan - annegato con la madre e il fratellino Galip -
più forte e incisiva di qualsiasi condanna o di indignata requisitoria.
“I miei bambini mi sono
scivolati dalle mani - ha spiegato il padre, fuggito con loro e la moglie da
Kobane per raggiungere la Turchia e, poi, la sorella in Canada - All'improvviso
la barca si è capovolta, perché alcune persone si sono alzate in piedi. Era
buio, non si vedeva nulla”.
Per le strade, con icastici disegni e manifesti, i cittadini
turchi - dopo quelli austriaci - hanno manifestato la loro solidarietà ai
migranti a quest’uomo che, nel tentativo di salvarla e trovare sicurezza, ha
perso tutta la sua famiglia.
“Where is the world?”, dicono
improvvisati cartelli alzati da qualche disperato per inchiodare il mondo alle
sue responsabilità.
5 settembre 2015 (Alfredo Laurano)
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