Oggi, fa proprio caldo! E pigiamo il tasto
ON sul telecomando del climatizzatore. O entriamo nel box-doccia e apriamo il
rubinetto della pioggia rigeneratrice.
Ho un buco nello stomaco! Apriamo il frigo
o la dispensa e scegliamo quale delle mille scatolette aprire per articolare lo
spuntino o come farcire un panino o una tartina.
Non ho più contanti nelle tasche! Ogni
cento metri c’è un ricco bancomat che ci aspetta e che sputa fragranti banconote.
Basta introdurre una delle tante carte al profumo di agiatezza, per spazzare l’
“attimino” di indigenza.
Che gran sete! E vai con una birra
ghiacciata o un calice di pregiato vino bianco, una bibita frizzante o un
semplice bicchiere d’acqua fresca e dissetante, magari con uno spruzzo di
limone.
Sono veramente stanco! Mi spoglio, butto
le scarpe e mi sbrago sulla morbida poltrona che mi cinge per offrirmi tutto il
suo relax. Incasso il premio e mi abbandono, inerte, tra le braccia dell’ozio e
dell’accidia, per farmi coccolare.
Tutto questo è normale per molti di noi e
si apprezza in buona parte del mondo emancipato, industrializzato e
tecnologicamente evoluto. Quel mondo dove regnano le banche e il capitale, che
specula su cose, uomini e animali, su discriminazioni, guerre e vicende umane e
che, sfruttando ogni risorsa e sviluppando opportunità e mercato, crea
benessere e ricchezza, solo per i suoi seguaci fortunati.
Nasce, così, la cosiddetta normalità,
quello standard sociale che ci assicura tranquillità e regolarità.
Ma quasi mai ci rendiamo conto di tale
privilegio.
Della fortuna di avere sempre e subito ciò
che ci piace, ci serve, ci soddisfa.
Di poter disporre di tutto quello che
vogliamo e che abbiamo organizzato per il nostro benessere e piacere. Tasselli
di comodità e irrinunciabili vantaggi che scandiscono, quasi fisiologicamente,
la nostra vita, ma ormai scontati e senza appeal.
Diritti acquisiti che, come tali, non
apprezziamo più. Che procurano una sorta di felicità che non riconosciamo.
Troppo spesso confondiamo questi favori e
benefici con la noia, l’abitudine, la routine: che palle! Invece sono e
rappresentano la nostra sicurezza, la nostra valvola di sfogo in ogni
situazione, anche complessa.
Normalità è quotidianità: gesti,
abitudini, piaceri, facoltà, meriti, interessi, vacanze e programmi proposti e
concessi, in perenne usufrutto, alla fiera senza tempo del comodo, dell’utile e
del bello, come prerogativa esclusiva delle società occidentali.
Come girare la chiave ed entrare in casa, aprire
l’armadio per scegliere l’abito più adatto o andare al market a comprare cibo,
al cinema, al teatro, al concerto, dal parrucchiere, dall’estetista, dal
chirurgo plastico per un ritocchino, al ristorante o al bar per un gelato o un
caffè.
O accendere l’interruttore della luce
quando si fa buio, lo schermo a led, il gas, il riscaldamento, o digitare
ossessivamente sul telefonino, sul tablet e sul Pc. O appassionarsi al tifo
dello stadio, al modello d’auto o di moto che ci piace. O esercitare diritti sindacali
e sacre garanzie, far valere il proprio status, scegliere il voto alle elezioni
e il medico di base.
Tutto è semplice, e anche dovuto, nella
grande giostra del confort e della prosperità. E’ il sottile e sostenibile
piacere della normalità.
“E’
normale che…” - come recita anche l’intercalare di
Totti e lo slang della scuola calciatori - se non fosse per quelle consuete e
trite notizie che troppo spesso, o quasi tutti i giorni, disturbano quel
piacere, magari quando siamo a tavola a gustar manicaretti, e ci distraggono
dalle nostre ordinarie ossessioni e assilli esistenziali. Che noia, che barba,
che barba, che noia!
Quanti morti oggi? In quale mare o in quale terra?
Di fronte a quelle crude immagini
di guerre, di bombardamenti, di teste mozzate, di stragi di migranti e di
bambini nel Mediterraneo e nel cuore d’Europa, è meglio abbassare gli occhi e
la coscienza, non guardare, girare pagina o cambiare canale, perché
è il solito spettacolo con i suoi rituali bollettini: cambia “solo” il
numero dei morti e dei dispersi.
Paradossalmente, mentre si
consuma e si rinnova la tragedia umanitaria, dilaga la passività e si
dilata l’abitudine alla notizia, sempre più simile a una fiction, in modalità
reality, che però non appassiona, non tiene svegli e non fa salire l’auditel.
In fondo non è nostra la
responsabilità di questo biblico esodo di massa. Di chi fugge dalle guerre
e dalla miseria per raggiungere Paesi ricchi di terra, di presunte
opportunità e di materie prime. Alla ricerca di semplice “normalità”.
Noi siamo per le guerre “umanitarie", siamo innocenti e
non conosciamo la disumanità che altri hanno prodotto e che, nella
quasi indifferenza generale, vede migliaia di persone affogare fra le onde
o morire nei camion, come carne avariata da macello, mentre nel lungo cammino
della disperazione tenta di ridisegnare, abbattere, superare le frontiere e
i nuovi muri dell’Europa.
Anche se non ci commuoviamo più.
Anche questo è normale?
16 settembre 2015 (Alfredo Laurano)
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