Mentre
l’agghiacciante immagine del piccolo Aylan, trovato senza vita su una spiaggia
turca, fa il giro del mondo e scuote le coscienze, alla stazione di Budapest per qualche minuto il sorriso ha illuminato i volti dei
bambini bloccati lì da giorni insieme alle loro famiglie. Un gruppo di
volontari ha installato un maxi schermo e i più piccoli hanno assistito ai cartoni,
dopo ore di tensione.
I poliziotti della Repubblica Ceca, intanto,
hanno fermato nel sud della Moravia 200 profughi che, provenienti dall'Austria
e dall'Ungheria, cercavano di raggiungere in treno la Germania e hanno scritto
con pennarelli indelebili sulle braccia di profughi, bambini compresi, i numeri
di identificazione. Marchiati come gli ebrei deportati dai nazisti nei campi di
concentramento.
Sempre
alla stazione di Budapest, è venuta la mondo una bambina, partorita da una
donna siriana. L'hanno chiamata Shems, " Speranza". Un
giorno, forse saprà perché è nata in una stazione, perché è un po' siriana e un
po' ungherese e perché si chiama così.
Dopo
sei giorni di attesa, centinaia di migranti hanno lasciando la stazione di
Keleti: esasperati dallo stop imposto ai treni, i profughi sono partiti da
Budapest a piedi, direzione Austria. La polizia però non è disposta a far
passare il confine.
Il gruppo ha attraversato il Danubio e ha imboccato
l'autostrada Budapest-Vienna, con ritratti della Merkel in mano. Dovranno
percorrere 240 chilometri.
Enrico Vandini, responsabile della onlus We Are, rifiuta di
definire quella che stiamo vivendo una "emergenza" profughi e sottolinea
l'assenza di una soluzione concreta alle cause della crisi umanitaria:
“Continuare a chiamare emergenza questo
fenomeno è a dir poco ipocrita, considerando che dura da 4 anni e nessuno, dico
nessuno, ha davvero cercato soluzioni efficaci.
Per quanto riguarda i profughi siriani
basterebbe dar loro la possibilità di fare domanda di asilo presso le
ambasciate situate nei paesi confinanti e la possibilità di prendere un volo e
raggiungere la loro destinazione, senza rischiare la vita in mare, arricchendo
la malavita che sta dietro a questo traffico di esseri umani disperati.”
Fa male
vedere l'opinione pubblica indignarsi per la morte di un solo bambino dopo che
per anni si è ignorata la morte di centinaia di migliaia di persone, di cui
molti bambini.
E
mentre l’Europa discute e si dissolve su frontiere e accoglimenti e studia su
come gestire l’emergenza, un ragazzino siriano di 13 anni, ai
microfoni Al Jazeera dice la cosa più semplice del mondo: “Fermate la guerra,
basta questo, e noi non partiremo più.”
(Alfredo Laurano)
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