Come sempre, alla fine di ogni
manifestazione di protesta, quello che si ricorda non sono le migliaia di
cittadini, i sindacati e i movimenti che sfilano pacificamente per le strade,
in lotta per la casa, per i diritti, per il lavoro e che si oppongono in modo
civile allo spreco e alle grandi opere inutili. Si parla e si racconta, invece,
solo delle nobili gesta di pochi professionisti della violenza, infiltrati in
ogni corteo - come da prassi ormai consolidata
- che sfogano la loro repressione nella recita rituale del bravo
agitatore, sobillatore della piazza.
Un abusato ruolo che sa di esaltazione e
fanatismo, da una parte, e tradisce un po’ di esasperato narcisismo, dall’altra.
A cinque minuti da protagonista, su qualsiasi scena, aspira ogni figurante in
cerca di eroismo.
La consueta liturgia della tensione prevede
momenti di guerriglia urbana con la polizia,
cassonetti in fiamme, frizioni con i neo-fascisti di Casa Pound, atti di
vandalismo, bombe carta contro banche e ministeri e vetrine spaccate.
Tutto ciò vanifica il senso della protesta
e minimizza le giuste motivazioni che la ispirano: la trasforma in una specie
di wargame, gioco di ruolo, dove dissenso, contestazione, balli, canti, rabbia
e slogan si intrecciano a momenti di lotta e di furore, in una rappresentazione più teatrale che
reale, più fittizia che essenziale.
Una giostra delle parti, sempre uguale ad
ogni giro, su cui bisogna pur salire, a dispetto della politica e delle
rivendicazioni.
Un’ inutile passerella ad uso dei Tg e del
potere.
AlfredoLaurano
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