Nell’antica Roma, le vestali erano sacerdotesse
consacrate a Vesta, Dea del focolare domestico e della patria. Il loro compito
era di vegliare il fuoco sacro alla Dea e mantenerlo sempre acceso, perché rappresentava la vita della città e la potenza
di Roma.
Esercitavano la tutela di un valore ideale,
di un principio, con grande intransigenza e rigore; dovevano essere senza peccato ed aver fatto
voto di castità.
Custodivano inoltre dei simboli misteriosi
all’interno della Casa delle Vestali, occupavano posti distinti nelle cerimonie
pubbliche e godevano di numerosi privilegi.
Ma, la
vestale colpevole dell’estinzione del fuoco sacro veniva pubblicamente frustata
oppure, se violava il voto di castità,
veniva sepolta viva.
Oggi,
abbiamo la fortuna di poter godere, in una riedizione moderna ed aggiornata, di
almeno quattro neo-sacerdotesse consacrate al Dio Silvio, sulla cui fiamma
perenne vegliano e vigilano, con ogni possibile premura. Come quattro
scrupolose badanti, lo assistono, lo curano e lo proteggono dagli attacchi, dai
nemici, dagli onnipresenti bolscevichi, dentro e fuori la “sacra casa della
libertà”. Tutte pronte al sacrificio, ad immolarsi per lui, anche se non
propriamente molto caste e molto pure.
Daniela, la pitonessa sallustiana, è la più
feroce ed aggressiva. Determinata e
combattiva, abbaia come un mini-cane da salotto - visto quanti ne
frequenta - azzanna come un dobermann, insulta con il garbo di Teresa
camionista. Si ritiene aristocratica, superiore e mai doma, ma rivela, appena
ringhia, l’ombra cupa del razzismo. E’ piena di veleno che sputa a raffica tra
le tante falsità.
Cacofonica e gracchiante sembra un disco
assai rigato, incantato nel juke box. Lo stridio della sua voce, sempre afona e
irritante, fa venir la pelle d’oca e ferisce il nostro orecchio, come il gesso
alla lavagna.
Lei la usa come un’arma che colpisce, taglia
e affonda, senza mai provar pietà per i timpani storditi. O ti arrendi o ti
sfinisce!
La Carfagna, occhi vitrei e sgranati,
sembra l’umile pastorella che ha appena visto la madonna. La vestale allucinata!
Si propone castigata in tailleur e scarpe ballerine,
contro ogni tentazione. Taglio androgino a caschetto e sorrisetto di
circostanza stampato tra le guance un po’ emaciate.
La sensuale ballerina ch’era in lei, è
scomparsa ormai nelle nebbie dell’etere politico.
Oggi Mara è assai formale e ancor più
istituzionale: monacale il portamento, ossuta come in preda a anoressia, l’aria
seria da statista e da prima della classe.
Non strilla, non sbraita, non ascolta e
finisce sempre il compitino. Non risponde alle domande, non si abbandona alla
facezia o a una qualche umana confidenza. Forse le manca un succulento bucatino
o un buon bicchiere di spumeggiante vino.
Ma punge come una zanzara fastidiosa.
In tanto luminoso firmamento non poteva non
brillare la Stella di Gelmini, la vestale maestrina, quella che ha distrutto la
scuola pubblica e l’università e, soprattutto, le speranze di tanti giovani
studenti e le carriere di docenti e di ricercatori. Esperta nella politica dei tagli e della fuga
di cervelli, ha assolto il suo mandato facendo finta di aver studiato da
ministra.
Poco prima della sentenza della Cassazione,
aveva dichiarato: “Silvio Berlusconi ha tanti primati in politica,
nell’imprenditoria, nello sport e pure nella giustizia che solo con lui riesce
(la giustizia) ad essere così veloce”.
Si, velocissima, come gli ormai famosi
neutrini dell’esperimento del Cern, realizzato - secondo il comunicato
ufficiale dell’allora ministro Maria Stella, che fece ridere tutto il Web - in
un lungo tunnel dal Gran Sasso a Ginevra, costato 45 milioni di euro. Pensava
ci fosse una galleria sotteranea di oltre 700 chilometri che, partendo appunto
dall’Abruzzo, arrivava in Svizzera.
Ma
non era solo colpa sua!
Ma la più vestale delle vestali, la più
devota delle devote non può che essere la dissonante, disarmonica, esorbitante
Michaela Biancofiore, l’adoratrice feticista.
Fisico da cavalla o, volendo, da matura
pornostar è la vera innamorata di Silvio, lo adora e lo venera come un vero
dio. E’ il suo fallico totem compensativo.
Lo considera l’assoluto, meglio del papa,
di Obama, della Merkel e dell’ ex presidente Sarkozy, già definito a suo tempo
“un avvocaticchio di provincia”.
Nelle sue tante perle semantiche, dispensa,
al colto e all’inclita, giudizi e proclami di ineffabile evidenza: “Nessuno più
di lui sarebbe vero garante dell'unità dello stato, vero padre della Patria e
degli italiani. Ha confermato di avere l'Italia nel cuore e una non comune
levatura di statista. Ecco perché se si è onesti si deve dire che lui al
Quirinale migliorerebbe il Paese"…. “Pensate, che uomo democratico, ha
viaggiato in treno come un comune cittadino…” Siamo qui per manifestare il
nostro amore per Silvio... E poi, che ne sapete voi se Ruby era o non era la
nipote di Mubarak?".
L’invasata amazzone trentina, che fa cantare
alla sua sfortunata cagnetta Puggy “meno male che Silvio c’è”, racconta con
piacere che quando lo incontrò la prima volta… "fu un'esplosione nel
cuore, un marchio a fuoco nella pelle!".
Manco fosse Padre Pio!
Poi, dieci anni di assoluta fedeltà.
Per lui, per salvarlo dai giudici cattivi,
ne sono certo, si farebbe stuprare da un esercito di allupatissimi cosacchi.
Quattro mistiche vestali (e quattro in
panchina: Ravetto, Bernini, Comi e Di Girolamo), accomunate ormai nel ruolo e
nella tattica, che litigano, schiamazzano, squittiscono, interrompono e impediscono
agli altri di parlare.
Quattro fiere paladine che non accettano il
contraddittorio. Che si alzano e se ne vanno quando non possono completare il
loro show, studiato a pappagallo.
Quattro guerriere a difendere l’anziano
cavaliere, ormai senza cavallo.
Quattro vestiti, quattro
colori, un solo amore! Canta: Milva la rossa.
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